ANCONA – La città di Ancona alla ribalta nazionale per il bando (discriminatorio?) di Marche Teatro: il settimanale L’Espresso mette il capoluogo nell’occhio del ciclone per l’«avviso non vincolante» che servirà a nominare il successore di Velia Papa. Paolo Marasca, ex assessore alla Cultura del Comune dorico, lascia intendere che il bando – a cui ha risposto persino l’attore Alessandro Preziosi – sia sbilanciato in favore degli uomini. E sulla Mole Vanvitelliana, in merito al cambio di gestione dei due bar interni, parla «non di incompetenza ma di strategia politica».
Stando a quanto si riporta nell’avviso di selezione, fra i requisiti per scegliere il nuovo direttore di Marche Teatro, si annovera la «comprovata esperienza professionale nell’ambito dell’organizzazione manageriale ed artistica nel campo della direzione teatrale di almeno cinque anni come direzione di Teatri di rilevante interesse culturale e/o nazionali». Ebbene, «i vertici dei teatri – secondo L’Espresso – sono saldamente occupati perlopiù da uomini e anche di una certa età. Dunque – si chiede il giornale – quante sono le donne che hanno le carte per provare a gareggiare?».
Marasca, cosa ne pensa di tutto ciò? L’Espresso parla di poche donne alla guida dei teatri italiani. Secondo lei il bando di Marche Teatro è discriminatorio nei confronti del genere femminile? Se sì, perché?
«Il bando prevede un’esperienza quinquennale, peraltro senza ragione dato che i finanziamenti del Ministero sono triennali. Praticamente solo uomini possono vantare un’esperienza quinquennale nella direzione di teatri stabili. È anche particolare che il teatro diretto da una donna sino a oggi dia questo esempio sgradevole».
Quale sarebbe potuta essere la soluzione?
«In Italia ci sono molte donne che dirigono enti, soggetti culturali, festival, spazi, e a cui non viene quasi mai data la possibilità di arrivare a un teatro stabile per questi paletti stupidi. Non solo: ci sono paletti anche generazionali, che quasi sempre impediscono a una persona di quarant’anni di trasformare la scena come solo le generazioni meno anziane sanno fare».
Le faccio una domanda scomoda, ma le chiedo di rispondere con franchezza. Un bando – anzi, un avviso non vincolante – che resti aperto per due settimane dopo la pubblicazione, come scrive L’Espresso, è forse un bando mascherato di cui gli addetti ai lavori conoscono già l’esito?
«Questi bandi capitano e spesso è un retropensiero quello di ritenerli già assegnati. Si fanno così per i tempi, per le urgenze e per mille altri motivi. Poi qualche volta c’è anche un’idea di chi potrebbe partecipare e vincere magari. Ma non so se sia questo il caso. Non conosco molti amministratori, ma il personale di Marche Teatro è di una serietà indiscutibile, lo dico per esperienza diretta».
Cosa pensa della direttrice uscente, Velia Papa? Le chiedo provocatoriamente: un uomo sarebbe stato in grado di fare meglio?
«Nel mondo dello spettacolo dal vivo Velia Papa è un’istituzione a livello internazionale. Ad Ancona le è stato assegnato un compito difficile: mantenere un livello alto di produzione e programmazione e, al tempo stesso, far quadrare i conti. Concentrare questi obiettivi in una persona sola è difficile ma oggi il teatro di Ancona ha produzioni eccellenti e conti a posto. Per me è stata un’occasione di crescita lavorare con lei, quando eravamo d’accordo e quando non lo eravamo. Di questo, la ringrazio».
Cambiamo tema: lei, da assessore alla Cultura, è stato legato alla Mole Vanvitelliana. La gestione dei due bar interni passerà da Micamole ad una nuova società, la Ankon Benefit Company. Perché parla di “strategia”? E perché dovrebbe essere, secondo alcuni, “incompetenza” quello di assegnare questi due chioschi ad altri?
«La strategia è quella di svuotare un luogo della maggior parte dei contenuti culturali, dare in appalto ai privati gli spazi da gestire e lasciare che siano loro a progettare attività. Questo comporta due rischi: la privatizzazione dei contenuti di uno spazio e una concorrenza con i privati del centro cittadino squilibrata, dal momento che per due bar si pagano 6mila euro l’anno, quello che in media un bar del centro paga al mese. C’è chi dice che non ci sia pianificazione pubblica della cultura per incompetenza. Io credo sia una scelta».
Restiamo sulla Mole. Ma spostiamoci sul lato esterno: cosa ne sarà del Lazzabaretto, secondo lei?
«Anche in questo caso, l’idea è sempre stata quella di dare uno spazio al terzo settore che con le entrate di un servizio bar finanziava il cinema, gli eventi, i concerti, due festival (Sconcerti e Acusmatiq) e l’organizzazione di attività in rete con le associazioni del territorio. Uno spazio, cioè, dove l’economia era funzionale alla coesione prima che al profitto. Ora che l’idea di fondo è cambiata, immagino che lo spazio sarà messo a bando per un locale privato, come è accaduto all’interno. Magari sarà più alla moda e con moijto a 12 euro. D’altronde il luogo lo permette».
È lecito, non crede?
«Sì, e ci tengo a ribadirlo. Ma si tratta di scelte di carattere squisitamente politico».