Ancona-Osimo

Istat, oltre il 30% di centenari in più in Italia in 10 anni. Il sociologo: «Adeguare il mercato del lavoro alle necessità degli anziani»

Come cambia la società con l'aumentare del numero dei centenari? Lo abbiamo chiesto a Davide Lucantoni, sociologo e ricercatore presso il Centro Ricerche Economiche Sociali per l'Invecchiamento (CRESI) dell'Istituto Nazionale di Riposo e Cura per Anziani

Da Pixabay, foto di sabinevanerp

Cresce il numero dei centenari in Italia. A certificarlo è l’ultimo rapporto Istat. Secondo l’Istituto Nazionale di Statistica in 10 anni sono oltre il 30% in più. Al 1° gennaio 2024 i centenari residenti in Italia sono 22.552, l’81% è di sesso femminile: i residenti con almeno 105 anni di età (semi-supercentenari) sono 677 (600 sono donne, l’89% del totale, e 77 sono uomini uomini, l’11%). La quota di residenti che al 1° gennaio 2024 ha raggiunto e superato la soglia dei 110 anni (supercentenari) è pari a 21, solo uno dei supercentenari è di sesso maschile.

La Liguria è la regione con la concentrazione più elevata di centenari, 61 ogni 100mila residenti, seguita dal Molise (58), dal Friuli Venezia-Giulia (54). Subito dietro, sotto la soglia di 50 ogni 100 mila residenti ci sono Trento, Toscana, Abruzzo e Marche, che superano tutte il valore medio nazionale di 38 centenari ogni 100mila residenti.
Per quanto riguarda la popolazione semi-supercentenaria in testa c’è il Molise (3,1 ogni 100mila residenti) le Marche seguono all’ottavo posto dopo la Liguria (2,4), la Basilicata (2,1), l’Abruzzo, l’Emilia Romagna, la Sardegna e l’Umbria.

Come cambia la società con l’aumentare del numero dei centenari? Lo abbiamo chiesto a Davide Lucantoni, sociologo e ricercatore presso il Centro Ricerche Economiche Sociali per l’Invecchiamento (CRESI) dell’Istituto Nazionale di Riposo e Cura per Anziani (INRCA). «I centenari sono l’esempio emblematico dell’invecchiamento della popolazione», un tema che investe molteplici aspetti che interagiscono fra loro come quelli «culturali, sociali, organizzativi ed economici» spiega il sociologo.

«Il tema dell’invecchiamento attivo – prosegue – è stato per lungo tempo ignorato in Italia». L’OMS, Organizzazione Mondiale della Sanità nel 2022 lo ha definito come il processo di ottimizzazione delle opportunità di salute, partecipazione e sicurezza per migliorare la qualità della vita delle persone che invecchiano.

Si tratta di «un cambio di paradigma rispetto al passato – evidenzia Lucantoni – nel modo in cui vengono percepite le persone anziane, non come un peso, ma come risorse per la società con ricadute positivie anche in termini economici: assumendo stili di vita sani e attivi, gli anziani sono più sani, consumano meno farmaci e lavorano più a lungo nel tempo». L’invecchiamento della popolazione si traduce anche nell’invecchiamento della ‘forza’ lavoro, con un numero crescente di persone anziane che dovranno lavorare più a lungo nel tempo.

«L’invecchiamento della popolazione e indici molto bassi di natalità hanno un impatto sul sistema pensionistico che non sembra più sostenibile nel rapporto tra occupati e pensionati – osserva -: le prestazioni erogate sono superiori ai contributi che l’Inps riceve».
Tra le politiche che possono essere messe in campo per fronteggiare questo grande mutamento, Lucantoni evidenzia quelle di ‘age management’ che puntano alla «riorganizzazione dei sistemi di gestione del personale, degli ambienti e delle condizioni di lavoro».

La chiave per vincere la sfida è quella di «adeguare il mercato lavoro alle necesità delle persone più anziane, che devono essere messe in condizione di poter essere produttive anche oltre il 65 anni, visto che oggi è sempre più difficile accedere al pensionamento anticipato».

Ma come conciliare l’esigenza di tenere il passo con le nuove tecnologie e una forza lavoro di età più avanzata? «Si possono prevedere iniziative di tutoring da parte dei giovani che hanno maggiori competenze digitali, in uno scambio nel quale gli anziani possono mettere a disposizione dei giovani la loro esperienza. Servono meccanismi di riqualificazione della forza lavoro – spiega -. Oltre alla poca consapevolezza sul tema, spesso mancano strutture e risorse adeguate , per questo le misure di gestione della forza lavoro anziana funzionano meglio nelle grandi aziende rispetto alle piccole e medie imprese».

In questa cornice il terzo settore può avere un ruolo cruciale stimolando l’organizzazione di corsi di formazione per le persone anziane, anche attraverso le Università della Terza Età.