OSIMO – La Giornata della posa della Pietra d’Inciampo è un evento commemorativo che si svolge in numerose città, in date variabili, ideata dall’artista tedesco Gunter Demnig, l’iniziativa ha l’obiettivo di mantenere viva la memoria di chi ha sofferto sotto il regime nazifascista e di tutte le sue vittime.
Le pietre d’inciampo sono piccoli blocchi di pietra con una targa in ottone, sulla quale sono incisi il nome della vittima, la data di nascita e, quando possibile, la data di morte. Queste pietre vengono posate di fronte alle abitazioni in cui le vittime vivevano prima di essere deportate o uccise, in modo che ogni passante possa inciampare simbolicamente nel ricordo di quelle vite spezzate.
Un momento significativo di questa commemorazione si è tenuto ieri (sabato 15 febbraio 2025), in via Saffi ad Osimo, di fronte la Stazione dei carabinieri, dove è stata posata una pietra d’inciampo in memoria di Bruno Liberti. L’evento è stato un’occasione per riflettere su quanto sia importante non dimenticare il passato, soprattutto per le generazioni future.
La pietra, con il suo significato simbolico, invita i cittadini a “inciampare” nella storia, ricordando le atrocità della guerra e la sofferenza di chi ha subito persecuzioni. Ogni inciampo è, in un certo senso, un risveglio collettivo, un invito a non dimenticare.
La cerimonia ha visto la partecipazione di numerosi rappresentanti del mondo politico e istituzionale, ma anche degli studenti di un istituto scolastico locale.

Nato in Argentina il 14 gennaio 1913 da famiglia osimana, Bruno Liberti è cresciuto tra Osimo ed Offagna. Era di famiglia benestante, tanto che il padre Eugenio e la madre Teresa gli consentirono di poter proseguire gli studi universitari a Bologna per diventare insegnante. Partecipò alla Campagna d’Africa e alla battaglia dello Scirè, ottenendo anche due croci di guerra: della sua esperienza coloniale tenne anche una conferenza al Campana.
Liberti apparteneva al corpo dei Granatieri di Sardegna e fu inviato in Slovenia con l’aggressione italiana alla Jugoslavia. Poco edificanti furono le azioni compiute in quel territorio: fascistizzazione forzata, massacro di civili, deportazioni, isolamento della città di Lubiana che fu circondata da 30 km di filo spinato dal febbraio al dicembre 1942.
Fu solamente con l’8 settembre che anche Liberti poté compiere la sua scelta in libertà e, rientrato in Italia, si schierò a favore della Resistenza. Tuttavia, nel dicembre del ’43, venne arrestato a Bologna e rinchiuso in carcere, fu in seguito trasferito al Campo di transito di Fossoli (Mo). Venne prelevato assieme ad altri 66 deportati politici e militari il 12 luglio del ’44 alle prime luci dell’alba e fucilato nel vicino poligono di tiro.
Il suo corpo, così come quelli di molti altri, risultò sfigurato, essendo stato sommariamente occultato in una fossa comune, fu poi riconosciuto, a guerra conclusa, dalla lettera di ringraziamento che aveva in tasca firmata dal vescovo di Lubiana che gli dimostrava la sua gratitudine per aver salvato il nipote dai nazifascisti.
La pietra è stata donata dalla Fondazione Fossoli e dall’Aned di Milano con il coinvolgimento di 36 comuni italiani, evidenziando così un legame collettivo e nazionale con la memoria della strage del 12 luglio 1944.