ANCONA – Il costo dell’energia da ridurre a causa del contesto geopolitico internazionale e l’autonomia energetica come obiettivo da raggiungere. In Italia, come in Svizzera, si guarda al nucleare di ultima generazione, anche per contrastare il cambiamento climatico e gli eventi estremi che lo accompagnano. Ne parliamo con Fabio Polonara, professore di Fisica tecnica industriale e già direttore del Dipartimento di Ingegneria Industriale e Scienze Matematiche dell’Università Politecnica delle Marche.
Se ne parla ormai da qualche anno, cosa sono gli impianti nucleari di ultima generazione? «Sono due le tecnologie proposte: la centrale nucleare di quarta generazione e di grandi dimensioni, intorno ai 1.000 Megawat, oppure i reattori di tipo ‘smr’, molto più piccoli delle centrali realizzate finora, assemblati in fabbrica e trasportati nei luoghi dove dovranno entrare in funzione».
In entrambi i casi, spiega Polonara, di tratta di tecnologie che finora «non sono mai state realizzate». Le centrali di ultima generazione realizzate sono quelle di «terza generazione avanzata, le quali mirano ad una sicurezza intrinseca. Il problema è che i tempi di realizzazione sono stati molto più lunghi di quanto preventivato e il costo molto maggiore». Non solo, l’esperto spiega che anche il costo dell’energia «non è così basso, come si possa pensare, resta contenuto solamente se questi impianti sono sovvenzionati dai governi».
Per quanto riguarda invece i piccoli reattori, «non esistono ancora realizzazioni di questo tipo, finora se ne è solo discusso e nel lungo periodo non è certo il contributo che potrà essere fornito al processo di decarbonizzazione».
In cosa si differenziano questi impianti di ultima generazione rispetto agli altri? «Si differenziano nella sicurezza intrinseca, ovvero dovrebbero avere un livello di sicurezza tale da evitare il ripetersi di disastri come quelli avvenuti a Černobyl e Fukushima, perché in grado di arrestarsi in caso di spegnimento, senza fuoriuscita di materiale. Però, aumentando le misure di sicurezza aumentano anche i costi di costruzione e gestione degli impianti».
Tra i timori della popolazione, c’è quello della sicurezza e delle scorie radioattive, dove vanno a finire? Inoltre, che caratteristiche dovrebbe avere l’area destinata ad ospitarli? «Gli impianti di ultima generazione sono realizzati in modo da riutilizzare le scorie prodotte, che quindi vengono ridotte rispetto agli impianti di un tempo. Ma il problema dello smaltimento delle scorie resta. Per quanto riguarda l’area, questa dovrebbe avere poca popolazione ed essere antisismica, oltre ad avere acqua a disposizione per raffreddare la centrale».
Insomma, a suo parere sono una soluzione praticabile e in breve tempo? «Per realizzare una centrale di ultima generazione servono almento 15-20 anni e ingenti investimenti da parte dell’azienda che la realizza. La soluzione più rapida e migliore per abbassare il prezzo dell’energia e contrastare il cambiamento climatico, con un minor impatto sull’ambiente, sono le energie rinnovabili: le abbiamo già a disposizione, come l’eolico, il fotovoltaico. Bisogna, però, che ci rendiamo conto che se vogliamo energia pulita e a minor prezzo, occorre fare delle scelte. Spesso nascono comitati che chiedono di fare gli impianti da altre parti per l’impatto visivo (fotovoltaico nei campi o eolico offshore), non esiste però l’impatto zero, per cui meglio i pali dell’eolico in mare e qualche pannello nei campi, piuttosto che pensare al nucleare o addirittura a soluzioni di ‘retroguardia’ come centrali elettriche a carbone o gas».