Ancona-Osimo

Ancona e il primo 25 Aprile con la giunta di centrodestra. L’Anpi: «Giornata fondamentale»

Intervista a Tamara Ferretti, presidente dorica dell'Anpi, nonché segretaria nazionale: «Il 25 aprile non ha niente di divisivo. Semmai rappresenta uno dei momenti di più alta unità della storia di questo Paese»

ANCONA – Oggi è il primo 25 aprile nella storia di Ancona che si celebra con una giunta comunale di centrodestra. Il sindaco dorico forzista Daniele Silvetti sfilerà infatti con la fascia tricolore al fianco del prefetto, Saverio Ordine, e della presidente dorica dell’Anpi (nonché segretaria nazionale), l’Associazione nazionale partigiani d’Italia Tamara Ferretti.

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Presidente Ferretti, ci apprestiamo a celebrare un altro 25 Aprile. Perché è importante continuare a celebrare questa data?
«Perché il 25 Aprile è una delle giornate fondamentali della storia di questo Paese e, come ebbe a dire il presidente Mattarella, “è su questa data che si fonda la nascita della nostra Repubblica”. Un grande giorno di festa che, a settantanove anni di distanza, continua a simboleggiare la fine della guerra, la sconfitta del nazifascismo, della dittatura fascista e dell’occupazione tedesca, la rinascita del Paese e della democrazia».

A ridosso del 25 Aprile, ci sono sempre polemiche. Veda ad esempio quanto accaduto in Rai. Perché questa giornata continua ad essere divisiva?
«Il 25 aprile non ha niente di divisivo. Semmai rappresenta uno dei momenti di più alta unità della storia di questo Paese. Unità delle forze politiche che avevano dato vita al Cnl, il Comitato di Liberazione nazionale, composto da comunisti, socialisti, azionisti, democristiani, liberali, monarchici; di unità con il rinato esercito italiano del Corpo italiano di Liberazione ma soprattutto di unità del popolo italiano stremato da anni di dittatura, di violenze e guerre che insorse da Napoli a Genova, a Milano per scacciare l’occupazione nazista con i suoi alleati fascisti. È ancora possibile non riconoscere tutto questo? È ancora possibile disconoscere una Resistenza, una Lotta Partigiana costata migliaia e migliaia di vittime, di torture, di eccidi, di deportazioni? Divisive sono solo stantie e pretestuose polemiche reiterate nel vano tentativo di sottrarsi all’inoppugnabile giudizio della storia la cui manomissione non è stata e non sarà consentita. Quanto accaduto in Rai non ne è che l’ultima brutta, rabberciata, espressione. Non penso si sia trattato di un eccesso di zelo di servi sciocchi come qualcuno ha tentato di motivare, penso invece che il depotenziamento del servizio pubblico nell’informazione sia funzionale a quei tentativi di manomissione, con cui il Paese dovrà fare presto i conti. Colgo l’occasione quindi anche per esprimere piena solidarietà ai Comitati di redazione della Rai che hanno deciso la proclamazione di cinque giorni di sciopero per un “servizio pubblico indipendente, equilibrato e plurale”».

Quanto i giovani, secondo lei, avvertono il senso e il significato della Liberazione?
«Il valore della Liberazione appartiene a questo Paese, alla storia e alla vita delle famiglie di questo Paese. I giovani, anche in modo approssimativo, ne avvertono il senso, il significato, anche se alla scuola non è stato mai granché consentito di investire in tal senso e soprattutto nella conoscenza della storia. Basti pensare che qualche tempo fa qualcuno aveva sostenuto l’abolizione dell’insegnamento della storia, per non parlare della geografia, di cui anche il ministro Sangiuliano ci ha dato di recente un fulgido esempio di conoscenza. I giovani sono curiosi, hanno sete di sapere, vanno coinvolti perché gli adulti dovrebbero essere consapevoli che senza conoscenza del passato il futuro cammina su gambe fragili e a pagarne le conseguenze sono i giovani e l’intera umanità. L’escalation dei conflitti che viviamo oggi carichi di tragedie incommensurabili ne è una tragica riprova. Migliaia di civili sotto le bombe, di donne, di anziani, di un numero indicibile di bambine e bambini, di nuove fosse comuni. Cos’altro serve per dire basta? Quel basta che da tempo urla Papa Francesco con una voce soffocata dal dolore, lo stesso basta che griderebbero i milioni e milioni di morti della seconda guerra mondiale. Non possiamo, non dobbiamo, non vogliamo rinunciare alla pace, abdicare alla guerra e considerare ineluttabile ogni sorta di conflitto: ne va del futuro dell’umanità. Per questo serve cessare il fuoco ovunque e ridare voce alla diplomazia e al dialogo, come nel patto tra le Nazioni che nel 1945 diedero vita alle Nazioni Unite».

La presidente Ferretti, foto per sua gentile concessione

Alla luce di quanto sta accadendo in Italia (nel settore dell’informazione ma anche altrove), è ragionevole, secondo lei, parlare di un possibile ritorno del fascismo, pur – magari – sotto forme diverse dal passato? E se sì, qual è il miglior antidoto?
«Prima di parlare di ritorno, sarebbe utile definire che cosa è stato il fascismo nel nostro Paese. Salì al potere con la violenza e con la violenza e la repressione annullò qualsiasi forma di opposizione. Quest’anno ricorre il centenario del rapimento e dell’assassinio di Matteotti, ucciso prima che potesse denunciare i malaffari di Mussolini, ma a morire per le bastonate fasciste furono Piero Gobetti e Giovanni Amendola e tanti altri, di Gramsci Mussolini disse che bisognava spegnergli il cervello e via di seguito. Stabilizzato il regime, fu il tempo del cesarismo e del potere assoluto, delle regalie promesse a discapito dei Paesi africani occupati con guerre coloniali, delle leggi razziali, della requisizione e della confisca di migliaia di proprietà appartenenti a famiglie ebraiche, e poi l’indecorosa svendita dell’Italia, dei suoi lavoratori al lavoro coatto in Germania, dell’Esercito Regio alla schiavizzazione dell’internamento militare, della responsabilità dei suoi repubblichini nella partecipazione alle più efferate stragi perpetrate contro la popolazione civile del nostro Paese. Quel fascismo, in quelle forme, penso non possa tornare e c’è da augurarselo tutti e tutte, ma qua e là qualche segnale di cesarismo s’intravede perché con la stampa, con l’informazione è doveroso parlare, come altrettanto doveroso è rispettare il ruolo del Parlamento e le sue titolarità, la distinzione fra poteri, legislativo, esecutivo, giudiziario, così come definiti nella nostra Costituzione che è fondata proprio sui valori e sui principi per cui hanno combattuto i nostri partigiani e le nostre partigiane: la pace, la libertà, la democrazia, la giustizia, l’uguaglianza, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. Chi giura sulla Costituzione, antifascista, perché scritta da chi il fascismo l’ha combattuto e sconfitto restituendo la libertà all’intero popolo, queste parole dell’articolo 3 della Costituzione dovrebbe tenerle sempre presente. Antidoti ce ne sono diversi: la conoscenza, la credibilità delle istituzioni, la partecipazione, ma prima di tutti sta l’esercizio dei propri diritti civili a partire dal voto con cui ognuno si assume la responsabilità di scegliere. Qualcosa di più solido del diritto al mugugno. Buon 25 Aprile, buona Festa della Liberazione».