ANCONA – Cambiano le regole dello smart working. Dal 1° aprile i lavoratori privati non possono più lavorare da remoto, anche se hanno figli minori di 14 anni o se sono lavoratori fragili. Dopo Pasqua tornano le “vecchie” regole, quelle che erano in vigore prima dell’avvento della pandemia. Per i dipendenti pubblici questo era già avvenuto il 31 dicembre 2023.
Per i dipendenti privati resta la possibilità degli accordi individuali con l’azienda: lo smart working potrà essere concesso dal datore di lavoro sulla base di esigenze aziendali e «molte imprese del settore privato hanno già finalizzato accordi con i lavoratori in smart. Lo smart working – spiega il professor Stefano Staffolani, preside della Facoltà di Economia dell’Università Politecnica delle Marche – esisteva anche prima del Covid, ma in Italia la quota di lavoratori in modalità agile era più limitata rispetto ad altri Paesi dell’Unione Europea». In ogni caso, precisa Staffolani «non credo che il cambiamento delle regole abbia effetti significativi sull’utilizzo dello smart working».
L’economista fa un distinguo e precisa che si tratta di una modalità di lavoro che non può essere applicata a tutti i contratti, ma che sicuramente «può riguardare alcune professioni. specialmente del settore dei servizi, specie tra coloro che utilizzano il computer: l’accordo è la chiave per far si che lo smart working possa essere efficiente e funzionare».
«Quello che è successo durante la pandemia di Covid – prosegue – ha mostrato ai datori di lavoro che i dipendenti in smart working sono anche più produttivi degli altri e l’Italia deve recuperare il gap relativo alla quota di lavoratori agili rispetto agli altri Paesi. Anche il settore pubblico dovrebbe incentivare questa modalità di lavoro» per i vantaggi che genera, tra i quali quelli ambientali, con minore congestione delle città e minori livelli di inquinamento, e quelli di vita per i lavoratori che possono meglio conciliare famiglia e lavoro.
Secondo il professor Staffolani, finora il lavoro agile ha avuto poca diffusione nel nostro Paese forse a causa delle «resistenze di alcuni datori di lavoro, capoufficio e funzionari che non riescono a controllare il lavoro svolto e che magari vengono sminuiti nel loro ruolo. Resistenze in alcuni casi provengono anche dai sindacati che vedono svuotarsi i posti di lavoro con difficoltà ad organizzare iniziative».
Per funzionare lo smart working secondo l’economista è necessario che «la struttura organizzativa sia in grado di proporre obiettivi che devono essere raggiunti indipendentemente da dove si svolge il lavoro».