ANCONA – Gian Mario Spacca si sarebbe aiutato ad avere visibilità spedendo in riviste con sue interviste usando i soldi pubblici, Giacomo Bugaro avrebbe inviato auguri di Natale anche ai cacciatori, ai vescovi, ai parroci e agli operatori della Riviera del Conero con spese postali sempre attingendo dai fondi per i gruppi consiliari. Ma a determinare la condanna è stata la mancanza di documentazione specifica o documentazione non idonea con «resoconti estremamente generici».
Insomma, se potevano avere un tornaconto personale, di visibilità per far breccia negli elettori e quindi contare anche in una rielezione non potevano essere spese giustificate per l’attività del gruppo consiliare. Erano spese private e come tali non avrebbero dovuto ottenere il rimborso. Questo ha costato la condanna per peculato, lo scorso 27 ottobre, della Corte di Appello di Perugia, all’ex consigliere del Popolo delle Libertà ed ex vicepresidente del Consiglio Regionale Giacomo Bugaro (un anno e sei mesi) e all’ex governatore della Regione Marche Gian Mario Spacca (un anno e otto mesi).
I giudici umbri motivano la decisione in settanta pagine di dispositivo dove ci sono anche le assoluzioni per altri tre politici che la Cassazione aveva rispedito al giudizio di secondo grado dopo due sentente di assoluzione (era stata la Procura generale all’epoca ad impugnare davanti alla sesta sezione della suprema corte). A ritornare in tribunale erano stati anche l’ex segretario regionale del Pd Francesco Comi, assolto perché il fatto non sussiste, l’ex consigliere Massimo Binci (Sel), per lui non doversi procedere per sopraggiunta morte e l’ex addetto del gruppo Pd in Regione Oscar Roberto Ricci, assolto perché il fatto non costituisce reato. Per Comi è mancata la prova «idonea a dimostrare come le spese di cui è stato chiesto e ottenuto rimborso fossero riferibili ad attività diversa da quella istituzionale del gruppo di appartenenza».
La sua difesa, rappresentata dall’avvocato Marina Magistrelli, aveva presentato una integrazione di tutte le voci di spesa. Due le legislature finite nell’inchiesta esplosa nel 2013, tra il 2008 e il 2012, dove si contestavano spese per pranzi privati, donazioni, rimborsi benzina, regali, giornali, convegni pagati con i soldi pubblici. «Parzialmente fondato l’appello originario proposto» ha scritto la Corte presieduta dal giudice Andrea Battistacci. Tra il denaro contestato a Bugaro (riconosciuto il peculato solo per tre capi di imputazione e pari a 3.400 euro) ci sono 800 euro di spese postali per mandare auguri natalizi, a soggetti che «non avevano nulla a che fare con l’attività istituzionale del gruppo consiliare», dice la Corte «al contrario ci si trova di fronte ad attività di propaganda politica verso potenziali elettori».
Spacca è stato condannato per 5 capi di imputazione su 60, circa 20mila euro in cinque anni, la Corte ha riconosciuto quelli relativi alle spese per i periodici “Marche Domani” e “Koiné”, «propaganda politica per chi era intervistato» per la messaggistica “Aruba” e alcune per la ristorazione. Entrambe le difese ricorreranno in Cassazione.