Il 2 aprile scorso si è celebrata la Giornata mondiale della consapevolezza sull’autismo. Una “ricorrenza” che da alcuni anni si celebra tingendo di luce blu monumenti, scuole, fontane, e blu sono anche le scritte sugli striscioni che alcune famiglie di persone autistiche hanno esposto da finestre e balconi. Uno di questi recita: “È sempre il 2 aprile a casa mia“.
La pandemia ha sconvolto la vita delle persone affette da autismo e dei loro famigliari, sempre più soli nell’affrontare nuovi e più pesanti ostacoli, costretti a rivedere le loro abitudini quotidiane e il rapporto con i servizi sanitari, educativi e sociali, già penalizzati da una cronica mancanza di personale specializzato in DSA (disturbo dello spettro autistico). Chi si trovava dentro una struttura non ha avuto per lungo tempo la possibilità di ricevere visite dai propri familiari. Questi, e tanti altri, i problemi generati dal Covid-19, e che si sono andati a sommare ai vecchi problemi, tra cui la carenza di docenti di sostegno, appositamente formati, nelle scuole, la penuria di centri specializzati che le persone con autismo possono frequentare. Problemi ben noti ad Angsa, l’Associazione Nazionale Genitori Persone con Autismo, presente in ogni regione d’Italia ed anche nelle Marche. Nella nostra regione la presidente è Antonella Foglia, che abbiamo intervistato.
«I problemi delle persone autistiche nella regione Marche sono sempre quelli che segnaliamo da tempo – fa sapere la presidente Angsa Marche -, a cominciare dalla formazione del personale sanitario, scolastico, educativo, dall’instabilità e carenza dei servizi che hanno la presa in carico, delle grandi disparità di intervento nei vari territori, tanto per citarne alcuni. L’unica differenza è che in questo periodo si sono molto acuiti perché tutto è estremamente rallentato, se non addirittura fermo. Noi familiari non chiediamo più solo ascolto, ma un impegno costruttivo sui diritti, che non sono un lusso, ma una necessità».
Quante persone sono affette da disturbi dello spettro autistico nella nostra regione? Quali le fasce d’età più colpite?
«L’autismo è un disturbo del neurosviluppo che in genere viene diagnosticato intorno ai due anni di età, e nella maggior parte dei casi dura tutta la vita. Presenta aspetti sensoriali e comorbidità mediche importanti, grande variabilità di sintomi e livelli di gravità estremamente diversi, per cui non si possono prevedere risposte uguali per tutti. Purtroppo ad oggi non esiste un sistema uniforme di registrazione o monitoraggio dei DSA, anche a livello di UE, e sicuramente tale mancanza ostacola lo sviluppo di previsioni e di interventi adeguati. Nella regione Marche, a distanza di 7 anni dalla Legge regionale del 2014, non esiste ancora una Banca Dati, nonostante sia prevista nella legge stessa, pertanto ci dobbiamo basare su dati incompleti ed estrapolati, e non siamo sicuramente noi associazioni gli organismi preposti a questo compito. Studi recenti indicano una prevalenza di 1:77 per l’età evolutiva; pochi sono gli studi sugli adulti, in Gran Bretagna è segnalata una prevalenza di 1: 100. In Italia sono interessate circa 600.000 famiglie. A questi numeri preoccupanti e in costante crescita non corrisponde ovunque altrettanta attenzione da parte delle Istituzioni, soprattutto negli atti necessari a mettere in pratica leggi, che pure ci sono, sia a livello nazionale (L.N. 134/2015 “Disposizioni in materia di diagnosi, cura e abilitazione delle persone con disturbi dello spettro autistico e di assistenza alle famiglie.”), che regionale (L.R. n.25 09 ottobre 2014 “Disposizioni in materia di disturbi dello spettro autistico”)».
Di che cosa si occupa l’Angsa, quando è nata e quante famiglie vi sono iscritte?
«L’Angsa (Associazione Nazionale Genitori Persone con Autismo) è un’associazione impegnata da 30 anni nella tutela e il sostegno delle persone autistiche e delle loro famiglie presente sul territorio nazionale con sedi in ogni regione ed in molte province. L’Angsa Marche si è costituita nel 2002 spinta dalla necessità di colmare un enorme vuoto culturale e legislativo, che addirittura vedeva attribuita ai genitori la colpa di essere causa dell’autismo del figlio. Siamo un gruppo di genitori volontari, sostenuti da una rete di un paio di migliaia di amici in tutta Italia, abbiamo figli o congiunti con “Disturbo dello spettro Autistico” (DSA) e operiamo sia a livello regionale che nazionale. L’essenza di Angsa Marche è sempre stata quella di difesa dei diritti, il che vuol dire poter usufruire di interventi efficaci erogati dal Servizio Sanitario Nazionale, dalla Scuola, dai Servizi Sociali. Questo ci comporta un grande lavoro lontano dai riflettori, ma minuzioso, continuo e faticoso ogni giorno, lavoro in cui ci impegniamo per tutti. L’essenziale significato di “fornire servizi” per noi è: lavorare a un deciso cambiamento di rotta nella presa in carico e nella cura delle persone con DSA, per cercare di creare ambienti di vita più sicuri da lasciare in eredità ai nostri figli e a tutte le persone nello Spettro. Chiarisco meglio cosa intendiamo per “cambiamento di rotta”. I disordini dello spettro autistico richiedono un inquadramento complessivo, multidisciplinare, che non separi il sistema nervoso dal resto del corpo. Pertanto l’attenzione agli aspetti biologici e sensoriali deve assolutamente andare di pari passo con gli interventi abilitativi. Le comorbidità mediche (gastroenterologiche, endocrinologiche, immuno-allergiche, cardiache, metaboliche…), spesso gravi e sottostimate, provocano disperazione, aggressività, autolesività. Purtroppo, la risposta più frequente, anche nei bambini, continua ad essere quella farmacologica. Continua per noi ad essere la regola vedere stare male i nostri figli, senza sapere cosa fare, né a chi rivolgerci, poiché la maggior parte dei medici e degli specialisti non ha ricevuto informazioni sulla complessità biologica delle persone autistiche. Sono anni che Angsa Marche insiste per introdurre nella formazione professionale l’evidenza scientifica della valutazione delle condizioni organiche come preliminare alla valutazione dei comportamenti. Eppure, i nostri ripetuti e civili appelli continuano a non ricevere risposte, e noi continuiamo ad assistere impotenti a trattamenti farmacologici impropri e spesso dannosi, usati per abbattere comportamenti, senza averli prima compresi. Secondo uno studio del Karolinska Innstitute del 2016, le persone con autismo associato a disabilità di apprendimento risulta che muoiano con più di 30 anni di anticipo rispetto alla popolazione normale».
16 mesi di pandemia, quale è stato l’impatto sulle famiglie e sulle persone affette da DSA? In particolare, sui bambini?
«La pandemia ci ha colto tutti impreparati e ha colpito soprattutto là dove c’erano preesistenti fragilità. Le persone autistiche e le famiglie sono tra queste. La “rete” regionale, già inadeguata in tempi normali, discontinua e disomogenea, tanto più si è rivelata tale nell’avviare percorsi di emergenza per non lasciare sole le famiglie. Nella regione Marche chi poteva fungere da tramite e da supporto alle famiglie sono i servizi territoriali UMEE/UMEA, ma è noto a tutti che soffrano da tempo di una cronica riduzione del personale e di mancanza di una formazione adeguata, il che non permette alla presunta “rete” di servizi di essere altro che ancora solo un nome sulla carta. Nella fase iniziale della pandemia l’aspetto più doloroso vissuto dalle famiglie è stata l’enorme difficoltà a prendersi cura da soli, specialmente dei figli più difficili, quelli con autismo grave e disturbi comportamentali importanti. Le famiglie di adulti, con genitori anziani, sono ovviamente quelle che hanno destato le maggiori preoccupazioni. Molte Persone Autistiche, inoltre, hanno vissuto con grande disagio il brusco cambiamento delle routine quotidiane e a volte questo ha significato un peggioramento del disturbo comportamentale. Per quanto riguarda la scuola, ai soliti problemi di inclusione, turnover continuo e carenza di formazione degli insegnanti, si sono aggiunti i grossi disagi con la Didattica a Distanza, con molti ragazzi in difficoltà ad interagire con un computer e i genitori costretti a casa, ma non in grado di seguirli adeguatamente. Altra questione molto dolorosa è stata la separazione dai figli nelle strutture residenziali, con conseguenze in taluni casi assai rilevanti sull’equilibrio psicologico di entrambi. Per le persone autistiche residenti nell’unica struttura regionale a loro dedicata, l’Azzeruolo di Jesi, sono state predisposte concretamente misure atte a conciliare il mantenimento delle fondamentali relazioni affettive con le esigenze di prevenzione sanitaria. Misure che sono scaturite dalla considerazione delle possibili conseguenze negative che l’isolamento sociale e la lontananza dai propri cari possono portare in persone ritenute, in modo del tutto infondato, “chiuse in se stesse”, o addirittura incapaci di provare emozioni. Conseguenze negative che, a causa delle difficoltà di comunicazione, sarebbero potute esplodere anche in comportamenti auto/etero aggressivi . Se all’Azzeruolo sono state permesse le visite a casa con le dovute precauzioni (screening dei familiari mediante tampone e compilazione dell’informativa), non ci risulta che le stesse misure siano state applicate uniformemente nelle restanti residenze per disabili in cui vivono anche persone autistiche. Abbiamo rilevato risposte molto eterogenee a livello delle varie strutture. Sarebbe necessaria la programmazione di percorsi di rimodulazione delle strutture residenziali stesse prevedendo spazi per assicurare percorsi separati interni in caso di infezioni e/o epidemie, in modo da assicurare lo svolgimento regolare delle attività a pieno regime, anche in caso di epidemie.
Ma non c’è solo il Coronavirus. Noi continuiamo a chiedere da tanto tempo, e non solo per questa emergenza COVID, che vengano predisposti percorsi ospedalieri e/o ambulatoriali dedicati (modello DAMA – Disabled Advanced Medical Assistance), agevolando al massimo, e non solo permettendo, l’assistenza da parte dei genitori o dei caregiver. I familiari andrebbero coinvolti in queste decisioni, in quanto hanno un enorme bagaglio di conoscenze che potrebbero “fare la differenza”. Inoltre, che succede se ad avere bisogno di assistenza è lo stesso caregiver? Parliamo anche di famiglie monogenitoriali».
Come è organizzata, nelle Marche, la rete dei servizi per l’autismo, sia per l’età adulta che per i bambini? Cosa manca, e come la si potrebbe migliorare?
«Per la Legge regionale 25/2014 “Disposizioni in materia di disturbi dello spettro autistico” la presa in carico della persona autistica spetta alle Unità Multidisciplinari territoriali per l’Età Evolutiva (UMEE) e per l’Età Adulta (UMEA), in questo supportate dai due Centri di Riferimento regionali (Fano per l’età evolutiva e San Benedetto per l’età adulta). Ma, come già evidenziato, questi servizi sono ampiamente sottodimensionati e non sufficienti a fronteggiare questa che, per gravità e numeri , è una vera e propria emergenza sanitaria e sociale. È pertanto assolutamente urgente provvedere a formazione e potenziamento delle Unità Multidisciplinari, attualmente non in condizione di espletare il proprio compito di presa in carico di un disturbo così complesso. È necessario altresì garantire continuità e personale sufficiente per poter soddisfare alla crescente richiesta anche ai due Centri Regionali di riferimento (Età Evolutiva ed Età Adulta). Se non si rafforzano queste basi, se non si si incrementa la risposta pubblica, tutto continuerà a ricadere per la massima parte sulle famiglie. Attualmente sono pochissime quelle che ricevono informazione e sostegno necessario per l’elaborazione congiunta del Progetto Individuale di Vita dei loro figli (L.328/2000), in cui si definisce dettagliatamente il diritto alle cure, all’autodeterminazione, all’inclusione scolastica, sociale e lavorativa, la sperimentazione di nuove forme di coabitazione nell’ambito del “Durante e Dopo di Noi”».
A fine maggio, con altre associazioni ((Angsa Marche, Acli Marche, Fondazione Paladini Ancona, Cooperativa Papa Giovanni XXIII Ancona, GruSol Moie di Maiolati, Uildm Ancona), avete sollecitato la regione Marche affinché fosse data applicazione alla direttiva ministeriale sulla riapertura delle strutture residenziali ai visitatori e alle famiglie. Al tempo pochissime strutture si erano adeguate. Quale è la situazione attuale?
«Attualmente non è stata generalmente avviata la riapertura completa delle strutture residenziali e dei Centri diurni, nonostante l’elevato livello di copertura vaccinale raggiunto tra gli ospiti e il personale, e l’allentamento delle misure restrittive nel resto della popolazione. A noi risulta che L’Asur abbia invitato i gestori a predisporre con urgenza progetti per la riapertura totale in base alla percentuale di vaccinati, progetti la cui idoneità deve essere valutata dalle UOSeS (Unità Operativa Sociale e Sanitaria). Viene ribadita la necessità di mantenere l’uso dei dispositivi di protezione individuale, di garantire il distanziamento sociale e di fare in modo che le attività siano effettuate rispettando precauzioni e misure igienico-sanitarie, trasporti compresi».
Le misure anticovid prevedono screening periodici obbligatori per la frequenza dei servizi. Quali problemi state riscontrando su questo?
«Per moltissime persone autistiche, o non collaboranti, il tampone molecolare naso-oro-faringeo è una pratica difficile da effettuare correttamente e può diventare traumatica nel caso si ricorresse a qualche forma di contenimento. È necessario ed urgente ricorrere ad altre soluzioni, non solo per il benessere della persona, ma anche per poter contare su una maggiore validità dei risultati. Da qualche tempo si è cercato di porre rimedio a questo problema, ad esempio nei CSER o nelle strutture residenziali, effettuando tamponi periodici a familiari conviventi in sostituzione della persona non collaborante, ma facendo seguito alla Circolare ministeriale del 14.5.2021 “Uso dei test molecolare e antigenico su saliva ad uso professionale per la diagnosi di infezione da SARS-CoV-2”, a fine maggio abbiamo chiesto che, con la massima urgenza, l’ASUR si attivi per sostituire il tampone oro/nasofaringeo con il test molecolare salivare. Come in molte altre occasioni, non abbiamo ricevuto risposta, ma le ripetute non risposte a tutte le nostre sollecitazioni, hanno anch’esse un peso per noi famiglie: continueremo a lavorare fino a quando tutti i servizi necessari saranno attivati, i LEA (Livelli Essenziali di Assistenza) soddisfatti e tutto il personale sufficiente e formato per una disabilità tanto complessa».