Ancona-Osimo

Baby stalker arrestati ad Ancona. La psicoterapeuta: «Fragilità familiare e ambientale»

La dottoressa Francesca Mancia, illustra il fenomeno della criminalità organizzata in età evolutiva, tracciando un quadro del gruppo e delle fragilità adolescenziali in un'ottica di interpretazione del fenomeno e di prevenzione

Foto d'archivio
Foto d'archivio

ANCONA – «La criminalità organizzata in età evolutiva costituisce una sconfitta per tutta la comunità in cui il fenomeno si palesa poiché il suo comportamento è un messaggio di sfida e di richiesta di aiuto». La psicoterapeuta dell’età evolutiva Francesca Mancia commenta così l’arresto di 5 minorenni accusati di stalking e estorsione aggravata in concorso, ai danni di 8 ragazzi minorenni, due dei quali con problemi psichici e cognitivi, che hanno picchiato, minacciato di morte e ai quali hanno estorto denaro. Ad allacciare le manette ai polsi dei ragazzi, tutti fra i 16 e i 18 anni (ma minorenni all’epoca dei fatti) sono stati gli uomini della Squadra Mobile di Ancona, guidati da Carlo Pinto, che giovedì mattina hanno dato seguito alle misure cautelari disposte dalla Procura dei Minorenni di Ancona.

Un episodio che ha sconvolto la città di Ancona dove si sono verificati i terribili fatti, durati oltre un anno e mezzo e avvenuti in pieno centro, nei quartieri periferici e anche in una scuola superiore del capoluogo. Una grave violenza, quella subita dalle vittime, tanto da spingerle in un tunnel di isolamento e paura fino a scegliere di non uscire più di casa per il timore di incontrare i persecutori.

La psicoterapeuta che ha seguito i fatti in qualità di tecnico della Procura,  senza entrare nel merito delle indagini, sulle quali c’è il più stretto riserbo, spiega in chiave interpretativa che «il fenomeno è un perturbante monito alla società perché ci ricorda quanto i bambini e gli adolescenti ci osservino». Prosegue la psicoterapeuta: «la violenza sul debole approfitta del disagio psichico o della forza del gruppo e viene percorsa dall’individuo che non trova spazi nell’ambiente sano».

Alla base di queste situazioni, secondo la dottoressa Mancia una «fragilità familiare ed ambientale che oggi dilaga. Il tema centrale pedagogico dovrebbe allora tornare ad essere il diminuire dei contenuti erogati ed aumentare l’esperienza profonda che risiede nello stare più tempo con i giovani a riflettere di educazione civica, vivendo con loro progetti educativi di esplorazione del senso di rispetto reciproco, di volontariato».

A rendere le violenze ancora più gravi, il fatto che le vittime sono state costrette a prostrarsi e umiliarsi, in alcuni casi anche ad inginocchiarsi sotto la minaccia di morte e sotto una descrizione dettagliata di come avrebbero fatto ad ucciderli. Una banda dove il controllo assunto sulla vittima era molto forte e le violenze perpetrate in gruppo sotto l’imprinting di uno o più capi.

Secondo la psicoterapeuta per prevenire episodi di questo tipo il lavoro educativo è fondamentale: «occorre in primis evitare di imprimere al soggetto in età evolutiva il valore della competizione verso il controllo dell’altro poiché nel fallimento i soggetti meno dotati possono facilmente virare verso il gruppo antisociale come capi o come gregari».

Pixabay, foto di LoboStudioHamburg

Una attenzione importante va posta ai social network e alle insidie che vi si possono nascondere, quando diventano l’unico canale comunicativo. «Il ricorso ai social conforta il bambino o l’adolescente deprivato di sane esperienze con pari ed adulti: nei gruppi chat si nascondono coloro che sono pronti a manipolare la sofferenza dei giovani. Si tratta di una sofferenza inconsapevole, che non comprende e non pensa circa le ragioni del patire, che vede il gruppo gang esibire comportamenti senza il filtro del pensiero autonomo ed empatico».

Un modello di appartenenza, quello della banda, che «è arcaico e riceve una connotazione oggi nel nichilismo della tecnologia che trascina il gregge verso una immunità di pensiero, lo porta verso un territorio arido e violento in cui sentire riscatto ma non emozioni di gratitudine e senso del limite».

Insomma una banda dove regnano impulsività, scarsa riflessività e una «spinta primordiale verso la predazione, il fare territorio ed il ribadire sempre la propria potenza virile».

Un quadro nel quale a sorpresa spunta anche la componente femminile, sia come «oggetto narcisistico (ragazza del capo)» spiega la psicoterapeuta, sia come «ibrido aggressivo (ragazza picchiatrice) e rappresentante di una rabbia senza riflessione. In alcuni casi si è rivelata persino più spietata del maschile».

Ma ciò che colpisce di più è l’assenza degli adulti, «senza parole convincenti per mostrare la strada del rispetto istituzionale, senza occasioni di dare esempio in contesti in cui riconoscere il valore della regola sociale, del limite tra me ed altro». Una pagina molto triste della cronaca del capoluogo, che deve spingere tanti genitori alla riflessione e forse ad una maggiore vicinanza e dialogo con i figli.