ANCONA – Biodiversità e consumo di suolo. Sono le due maggiori criticità ambientali rilevate da Legambiente nelle Marche, nel giorno in cui si celebra la Giornata Mondiale dell’Ambiente, proclamata nel 1972 dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite.
Nella nostra regione circa il 60% della costa «è sparita sotto il cemento – denuncia Francesca Pulcini, presidente di Legambiente Marche -, le uniche aree libere sono quelle delle aree protette che hanno svolto un enorme ruolo nella difesa del suolo».
«Questa giornata – prosegue – ci ricorda l’importanza e la ricchezza del nostro ecosistema che è sempre più sotto i riflettori a causa delle minacce che arrivano dai cambiamenti climatici e per le politiche che l’Unione Europea sta mettendo in piedi per tutelare l’ambiente e per garantire un futuro equo alle giovani generazioni».
Attenzione che si è accentuata ancora di più nei cittadini, fa notare l’associazione, «in seguito alla drammatica pandemia che ha colpito il mondo intero. Purtroppo territorialmente ancora questi temi fanno fatica ad entrare a pieno nell’agenda politica e molto c’è ancora da fare tra vecchie e nuove sfide su cui dobbiamo urgentemente ragionare anche per fare in modo che il Piano Nazionale Ripresa e Resilienza sia davvero un’occasione di grande cambiamento».
Secondo Pulcini, accanto alla corretta gestione dei rifiuti, alla tutela della biodiversità, al miglioramento del ciclo integrato delle acque e alla lotta al consumo di suolo, non bisogna dimenticare l’importanza di cambiare la mobilità soprattutto nelle nostre città per garantire un miglioramento della qualità dell’aria, anche attraverso l’aumento del patrimonio arboreo. «Ci auguriamo che le azioni dei governi nazionale e regionale vadano in questa direzione» afferma.
La tutela della biodiversità costituisce una vera e propria emergenza nelle Marche, stando ai dati di Legambiente, che osserva come oltre ai cambiamenti climatici, hanno un peso soprattutto la mancanza di individuazione di nuove aree protette, la resistenza al cambiamento in alcuni settori nodali come l’agricoltura e la pesca, che «stanno mettendo a dura prova la sopravvivenza di molte specie e habitat».
Nelle Marche solo il 10% del territorio è tutelato e «purtroppo siamo ancora in attesa dell’istituzione delle due aree marine protette previste dalla legge nazionale in questa regione: quella del Conero e quella della Costa del Piceno, considerando la delicatezza e la sofferenza che oggi vive il Mare Adriatico» spiega la presidente, evidenziando la necessità di un cambio di rotta.
«È importante – afferma – che il nostro Paese inverta la rotta seguendo le linee guida dettate dall’Europa che, nella Strategia dell’UE sulla Biodiversità per il 2030, fornisce orientamenti politici precisi per l’attuazione della strategia nel decennio 2020/2030 e chiede un’attuazione coerente di misure capaci di tutelare la biodiversità e raggiungere gli obiettivi stabiliti».
«L’Italia – aggiunge – non perda questa importante occasione visto che l’Europa mette a disposizione anche risorse finanziarie dirette, promettendo di sbloccare per la biodiversità 20 miliardi di euro all’anno provenienti da diverse fonti di finanziamento punti convintamente sulla tutela della biodiversità anche nell’attuazione del PNRR- Piano nazionale di ripresa e resilienza – che si arrivi al 30% di territorio tutelato al 2030. È importante, quindi, che anche le Marche facciano la propria parte».
Gestione delle acque
In tale cornice è fondamentale una corretta gestione dei corsi d’acqua che, secondo l’ultimo rapporto Arpam, nelle Marche non raggiungono gli obiettivi richiesti dall’Unione Europea. Secondo il monitoraggio svolto dall’Agenzia regionale per l’Ambiente delle Marche, nel triennio 2015-2017 sui 185 corpi idrici fluviali, lo stato di salute dei fiumi marchigiani non arriva agli obiettivi posti dalla Direttiva Quadro Acque dell’Unione Europea che imponeva il raggiungimento dello stato buono al 2015.
In base agli indicatori biologici, «la fauna ittica, i parametri fisico chimici e idromorfologici, i corpi idrici naturali sono buoni per il 42%, sufficienti per il 41% e scarsi per il 17% – spiega Pulcini -, mentre per i corpi idrici fortemente modificati la situazione peggiora con il 22% allo stato buono, il 36% allo stato sufficiente, il 36% scarso e il 6% cattivo.
Per quello che riguarda invece lo stato chimico, i corpi idrici naturali sono buoni per il 78% e non buoni per il restante 22%; per i corpi idrici fortemente inquinanti la situazione si aggrava con il 61% in buono stato e il restante 39% non buono».
Secondo il dossier di Legambiente “Acque in reta – Criticità e opportunità per migliorarne la gestione in Italia”, le Marche si presentano con annose questioni ancora irrisolte come la dispersione idrica in rete che raggiunge una media regionale del 27%. Non migliora la situazione della gestione delle acque reflue urbane che vede il 44% degli agglomerati urbani in infrazione europea.
Raccolta e gestione dei rifiuti
Sul fronte della raccolta dei rifiuti e della loro gestione, nel 2020 le Marche hanno toccato il 72% di differenziata, «un dato straordinario che però si scontra con la mancanza di adeguati impianti per il trattamento dei rifiuti, in primis quelli per la gestione della frazione organica e la produzione di biometano – fa notare -. La produzione pro capite dei rifiuti scende da 520kg a 499; un dato che non deve trarci in inganno in quanto la quantità di rifiuti prodotta è diminuita a causa del drammatico stop causato dalla pandemia. È necessario quindi accelerare sulla realizzazione degli impianti e lavorare con politiche mirate alla riduzione della produzione dei rifiuti».