Ancona-Osimo

Il blu dal guado, il porpora dalle raguse: il valore delle tinture vegetali riscoperto da un anconetano

Massimo Baldini si occupa di tinture vegetali estraendo i colori dalle piante, dagli scarti agricoli e dalle conchiglie. Ha riscoperto un metodo antico utilizzato già 6.000 anni fa. Ci ha raccontato la sua storia

Massimo Baldini, fondatore di Tintura

ANCONA – Estrarre i colori dalle piante per tingere tessuti, pelletteria, calzature, materiali termoplastici e per la cosmetica. E così, quello che solo in pochi conoscono, è che dall’antichissimo guado si ottiene un meraviglioso blu, lo stesso degli arazzi del 1.500, dalla radice della robbia il rosso, dalla reseda il giallo. Ma non solo, perché dalle raguse, piatto tipico del capoluogo dorico, si estrae il porpora! Dal ’95 l’anconetano Massimo Baldini si occupa di tinture vegetali estraendo i colori dalle piante, dagli scarti agricoli e dalle conchiglie. Ha riscoperto un metodo antico utilizzato già 6.000 anni fa, nel Neolitico. Nelle Marche è l’unico a farlo e in Italia è uno dei pochi.

Da qualche anno Baldini ha aperto un emporio in piazza del Plebiscito ad Ancona dove vende tinture, fa laboratori, accoglie scolaresche, racconta la storia del colore come in un piccolo museo, fa ricerca e sviluppo per le aziende, lancia nuovi progetti. Un luogo dove si creano relazioni e connessioni tra passato e presente, tra cultura e manifattura, tra turismo ed ambiente.

Signor Baldini come è avvenuto il suo incontro con le piante tintorie?
«Nel ’95 mi occupavo di turismo ambientale e all’Abbazia di Lamoli conobbi Corrado Leonardi, parroco storico di Urbania, che mi fece vedere antiche tovaglie del 1.300 di fattura marchigiana scoperte nelle chiese abbandonate del Montefeltro. Tutte erano a tinta blu, colore ottenuto con il guado, una brassicacea, quindi della famiglia di cavolo e rucola. Questa pianta era coltivata anche nelle Marche e fino al 1.600 era l’unica in Europa per tingere i tessuti di questo colore tanto de venire chiamata “oro blu”. Queste informazioni Leonardi le aveva trovate negli archivi. Cominciò quindi a fare convegni coinvolgendomi. Intanto, un altro storico, Delio Bischi trovò delle ruote con particolari scanalature, diverse da quelle utilizzate per l’olio e per il grano. Erano resti di antiche macine da guado. Nelle Marche ne ha trovate 50, un grande patrimonio da valorizzare. A questi due storici marchigiani si deve la riscoperta del guado. Così è nata la mia volontà di sperimentare e recuperare le antiche tecniche tintoriali per ottenere colori vegetali. Il mio incontro è stato prima ambientale e culturale per salvaguardare la biodiversità e il patrimonio vegetale, la storia e la tradizione, ora è manifatturiero».

Massimo Baldini
Massimo Baldini, fondatore di Tintura

Dopo l’incontro con i due storici marchigiani che cosa è successo?
«Nel ’97 non avevamo i colori vegetali perché nessuno li aveva estratti. Io mi sono appassionato ed ho iniziato ad utilizzare questo argomento per la didattica scolastica e a sviluppare possibilità di impiego dei colori. Nel 2000, dopo un lunghissimo tempo di abbandono dell’intera filiera delle tinture vegetali, sono riuscito a riestrarre il pigmento blu dal guado. Tingevo lane, matasse, cose semplici. Nel 2004 su richiesta di un brand di lusso della moda, con la collaborazione di un ricercatore privato e università, abbiamo allargato il progetto su scala industriale, e abbiamo creato una linea per il brand Dondup. Questo ci ha portato nel 2008 ad un progetto di ricerca industriale POR Marche per introdurre i coloranti naturali nel settore tessile/abbigliamento marchigiano. Lo abbiamo realizzato in rete con Università italiane e aziende del settore. Finito il progetto di ricerca nel 2012 ho sviluppato il colore anche per pelletterie, calzature, cappelli, vernici per muro e legno, materiali termoplastici come la suola delle calzature. Mi sono adoperato anche per promuovere i distretti culturali».

Oltre al blu dal guado, quali colori si possono estrarre dalle piante?
«Dalla radice della robbia si ottiene il rosso, dalla reseda il giallo, dai tannini i grigi, dallo scotano si estrae un colorante purpureo. Fino al 1930 questa pianta veniva utilizzata per la concia delle pelli. È un arbusto che si trova nei pendii dell’Appennino e in autunno diventa rosso, caratterizzando il paesaggio marchigiano. A differenza di queste piante presenti nel nostro territorio, il guado invece è stato reintrodotto. Non solo. Molti colori li recuperiamo dagli scarti dell’agricoltura, come ad esempio dalla scorza del melograno o dalla pianta del peperone per il giallo. Andiamo a valorizzare la filiera agricola».

Massimo Baldini

Quali sono i vantaggi del colore vegetale rispetto al colore sintetico?
«A livello tecnico è facile lavorare con i colori sintetici, il materiale è replicabile. Con i colori vegetali invece lavoriamo solo con la natura quindi abbiamo dei limiti. Non possono essere abbinati a materiali sintetici quindi è più complesso impiegarli. Siamo convinti però che se i grandi gruppi chimici lavorassero sui colori naturali potrebbero essere utilizzati con più facilità. Dal punto di vista ambientale c’è un grande vantaggio perché il colore vegetale è rinnovabile ed è a impatto zero. Si coltiva la pianta e si rigenera, mentre il colore sintetico è fatto con il petrolio, le cui riserve non sono infinite, è molto inquinante e viene prodotto in India e in Cina. Il colore vegetale non potrà sostituire il sintetico ma recuperarlo ha grande valore».

Ha dei nuovi progetti in mente?
«Adesso stiamo recuperando reti di pescherecci, le tingiamo e le trasformiamo in borse e oggetti d’arredamento. Inoltre, dopo 2.000 anni, sono riuscito ad estrarre la porpora dalle raguse. La famosa porpora che i Fenici estraevano dalle conchiglie, Ancona la fabbricava in epoca romana ricavandola dalle raguse. Nel mio emporio è possibile vederla. Per il momento la estraiamo su piccola scala».