ANCONA- La prima scossa arrivò oggi, il 25 gennaio, di 50 anni fa. L’orologio segnava le 21,25. Le famiglie anconetane erano nel tepore delle loro case. Chi davanti alla tv, chi invece intento ad andare a letto. Ma a stravolgere la vita di un’intera città ci ha pensato la natura. Marcello Bedeschi, all’epoca dei fatti, era segretario particolare del sindaco Alfredo Trifogli.
Che cosa ricorda di quella sera?
«La chiamata di Trifogli che subito mi chiese di informarmi su cosa stesse accadendo in città».
E quindi che cosa gli riferì?
«Venni a sapere che c’era una grande mobilitazione. La gente era impaurita e si era riversata sulle strade. Ma per fortuna non c’erano danni alle case e nessun ferito. Poi a mezzanotte un’altra scossa».
Lo sciame sismico era appena iniziato. Che cosa avete fatto?
«Di nuovo il sindaco mi chiamò e mi chiese di convocare la giunta comunale per la mattina seguente alle 7. Così feci. Ma mentre eravamo in riunione, intorno alle 11, una nuova e forte scossa. A quel punto ci preoccupammo».
Dal governo nazionale nessun interessamento?
«Certo che sì. Il sindaco Trifogli ricevette la telefonata di Aldo Moro che all’epoca era Ministro degli Esteri. Sua moglie era di Montemarciano e tramite i parenti aveva saputo delle scosse».
E che cosa consigliò Moro?
«Si confrontarono varie volte, e Moro consigliò di metterci in contatto con il centro sismografi di Monte Porzio Catone».
Ma il peggio doveva ancora arrivare. Non è così?
«Già. La scossa più forte, quella del decimo grado della scala Mercalli, arrivò il 14 giugno. Fu terribile. La gente scappò letteralmente da casa. Ci furono danni ai palazzi, soprattutto a quelli del centro storico. Ma per fortuna, anche stavolta, nessun morto e nessun ferito».
Che città era Ancona dopo il 14 giugno?
«Una città fantasma. Deserta. Erano rimasti solo pochissimi cittadini».
Cosa fece l’Amministrazione comunale?
«Trifogli organizzò i primi dormitori e le tendopoli grazie ad un costante contatto con il Prefetto e l’Arcivescovo Carlo Maccari. Il sindaco si raccomandò di tenere aperte le chiese per dare ospitalità agli sfollati. E predispose il riscaldamento per le tendopoli».
Come avvenne la ricostruzione?
«In quell’anno il Comune emanò 14 decreti e provvedimenti legislativi che andarono a costituire il complesso delle leggi per il terremoto di Ancona. Questi decreti fecero scuola, tanto che vennero presi ad esempio dalle amministrazioni locali per i terremoti dell’Irpinia e del Friuli».
I palazzi del centro storico furono i più danneggiati. Come si lavorò alla ricostruzione?
«Si escogitò l’espropriazione temporanea della casa. Ovvero: il Comune, attraverso la ricostruzione dei palazzi, diventava temporaneamente proprietario delle case. E i proprietari originali, qualora volessero rientrarne in possesso, avrebbero pagato un affitto irrisorio per un determinato periodo di tempo».
Com’è nata l’idea di organizzare degli eventi per ricordare i giorni del terremoto di Ancona?
«È nata da un confronto con il dottor Roberto Oreficini, che è stato responsabile della Protezione Civile delle Marche e attualmente Vicepresidente della Commissione Grandi Rischi. Parlando con lui è emersa la volontà di ricordare i due avvenimenti che hanno colpito la città di Ancona: il terremoto e la frana. Quindi, oltre al momento puramente commemorativo, il programma di appuntamenti si concluderà con un convegno dal profilo più tecnico per fare il punto sulla situazione italiana rispetto ai problemi di emergenza sismica».