ANCONA – La caccia ai cinghiali favorisce la proliferazione della specie. A dirlo è stato niente meno che il professor Andrea Mazzatenta, docente della facoltà di Medicina veterinaria all’Università di Teramo ed esperto di “feromoni”. L’occasione è stato il recente convegno sulle “Ragioni biologiche della diffusione del cinghiale e i problemi giuridici annessi”, tenutosi a Vasto, in Abruzzo.
«Nella sua relazione il professor Mazzatenta – spiega il delegato Lac (Lega Abolizione Caccia) per le Marche, Danilo Baldini – dimostra con dati e grafici inequivocabili come l’aumento della popolazione del cinghiale non dipenda affatto dalla presenza di aree protette dove questi animali trovano rifugio, come finora è invece stato sempre sostenuto sia dai cacciatori che dai politici, quale pretesto per aprire la caccia anche nei parchi o nelle riserve naturali».
Come spiega il docente nella sua ricerca, i branchi di cinghiali sono dominati dalle femmine “matriarche” che sono le uniche a riprodursi proprio grazie all’emissione dei feromoni.
I cacciatori, «introducendo per i loro interessi venatori la specie di cinghiale ungherese in Italia, molto più grossa e prolifica di quella italica, conoscono bene questo fenomeno – precisa Baldini -. Infatti, durante le loro braccate al cinghiale, abbattono volutamente le femmine matriarche, creando quindi la disgregazione dei branchi e innescando una reazione “liberatoria” nelle altre femmine di rango inferiore, che vanno subito in estro, riproducendosi più volte nello stesso anno e formando a loro volta altri branchi».
Un problema, quello dei cinghiali, che d’estate è ancora più di attualità per il maggior numero di danni in agricoltura e per gli incidenti stradali causati dall’attraversamento di questi animali.
Come è possibile contenere i cinghiali senza ricorrere alla caccia? «Per allontanare o impedire l’accesso ai fondi agricoli ai cinghiali e quindi prevenire o limitare i danni alle colture – evidenzia il delegato Lac – , come pure per impedire agli animali selvatici (non solo ai cinghiali) di attraversare le strade e quindi evitare che causino incidenti stradali, anche mortali per le persone, esistono vari sistemi e strumenti non cruenti. Essi consistono principalmente nell’utilizzo di recinzioni elettriche a basso voltaggio, dissuasori ottici e acustici, barriere olfattive, tunnel e sovrappassi stradali, foraggiamento dissuasivo ed altri. In particolare, ha ottenuto ottimi risultati il Progetto “LIFE Strade”, interamente finanziato dalla UE e sottoscritto, con tanto di Protocollo d’Intesa, anche dalla Regione Marche e dall’assessore alla caccia Pieroni. Il progetto è stato sperimentato con successo in alcuni tratti stradali della provincia di Pesaro e Urbino, come pure nelle province di Perugia, Terni, Siena e Grosseto. Esso consisteva nel posizionamento lungo i tratti stradali dove statisticamente si erano registrati la maggior parte di incidenti ed investimenti con cinghiali e altri animali selvatici, di catarifrangenti di colore blu, che è un colore che rappresenta un “pericolo” per gli animali, essendo molto raro in natura. Oltre ai catarifrangenti, sono stati installati anche una serie di sensori ad infrarossi e telecamere termiche in grado di registrare la presenza di animali ai bordi delle strade. Questi dispositivi interagivano fra loro e trasmettevano poi le informazioni a una centralina elettronica, che attivava sia un segnale luminoso lampeggiante di allerta per i guidatori, invitandoli a ridurre la velocità, sia un segnale sonoro e di pericolo per gli animali, per indurli ad allontanarsi dalla strada. I risultati di questa sperimentazione sono stati molto incoraggianti, poiché si è registrata una netta diminuzione degli incidenti, mediamente dell’80%, con punte del 100%».
Tra i sistemi di contenimento anche un farmaco anticoncezionale, scoperto da una ricercatrice italiana, la cui sperimentazione è iniziata qualche anno fa con buoni risultati, in termini di riduzione delle nascite e della fertilità, anche se non tutti i ricercatori sono concordi sull’efficacia nel lungo periodo di questo farmaco.
«Si potrebbe attuare un mix di queste soluzioni, oppure adottare quelle più idonee al territorio, compatibilmente alle possibilità finanziarie dell’ente», precisa Baldini, anche se, «come LAC e anche personalmente, siamo convinti che il modo più efficace per contenere la popolazione del cinghiale sia quello di lasciar fare a Madre Natura e, nel caso specifico, al suo predatore naturale: il lupo. Lo dimostrano i censimenti effettuati sul numero dei lupi e dei cinghiali nel Parco nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga, dove la caccia è vietata. La presenza del lupo al’interno del parco, la cui stima è stata condotta attraverso osservazioni, monitoraggi e i dati relativi agli esemplari dotati di radiocollare, risulta essere stabile, così come quella del cinghiale, che ne rappresenta la preda principale. Questo dimostra che le due specie, se lasciate in pace, riescono a trovare fra loro un perfetto equilibrio biologico, rendendo di fatto inutile l’attività di selecontrollo effettuata dai cacciatori, anche nelle aree protette».