ANCONA- La crisi economica generata dalla pandemia di coronavirus si abbatte sulle imprese di ogni settore. Ma a risentirne di più è l’occupazione femminile che ha subito una regressione rispetto all’era pre-covid. Ne abbiamo parlato con la professoressa Giulia Bettin, docente di economia politica presso il Dipartimento di Scienze Economiche e Sociali della Politecnica delle Marche e Referente Pari Opportunità dell’Ateneo.
Professoressa, partiamo dall’inizio: che cosa è successo in questi due anni?
«La natura stessa della crisi che ci ha coinvolto, e quindi non solo la chiusura di molte attività, ma anche i vari lockdown hanno provocato un grosso calo della domanda. Intere famiglie e singoli individui hanno modificato le abitudini di consumo».
E come mai questa crisi si è ripercossa in particolare sul lavoro femminile?
«Perché le donne rappresentano una percentuale rilevante di occupazione nei settori come il commercio, i servizi in generale e soprattutto i servizi alla persona. E poi perché questi sono settori che tipicamente fanno un ricorso massiccio all’occupazione a tempo determinato».
Quindi una relazione diretta tra i settori maggiormente colpiti dalla pandemia e la tipologia di impiego principalmente femminile, giusto?
«Proprio così. E’ risaputo che le donne siano tradizionalmente occupate in settori in cui è particolarmente diffuso il ricorso all’occupazione a tempo determinato e rappresentano le fasce più precarie sul mercato del lavoro. Ma la situazione va vista anche attraverso un altro punto di vista».
Ovvero?
«Bisogna tenere in considerazione cosa è successo dal punto di vista dell’offerta di lavoro, ossia la volontà delle donne di partecipare al mercato del lavoro. Con la chiusura delle scuole e i lockdown c’è stata un’enorme difficoltà di conciliazione tra l’attività lavorativa e quella di cura nei confronti dei figli. Tutto questo ha portato ad una forte penalizzazione delle donne, in particolare le donne madri che nel lavoro hanno perso di più rispetto a uomini e donne senza figli».
Può darci qualche riferimento?
«In termini di numeri un dato importante a cui fare riferimento è il tasso di occupazione femminile che aveva raggiunto tra il 2019 e inizio 2020 il 50%. Finalmente il valore più alto di sempre registrato in Italia e che in seguito alla pandemia è sceso al 49,9%. Teniamo presente che nella media europea questo dato è superiore al 62%. C’è un divario forte rispetto al resto dell’Europa, e ricopriamo gli ultimi posti».
E sul fronte dell’occupazione maschile che succede?
«Il gap rispetto alle donne è considerevole. L’occupazione maschile sta attorno al 68%. Questo divario continua ad aggravarsi con la pandemia. Oggi osserviamo un recupero generale del mercato del lavoro. I segnali positivi ci sono, ma ancora una volta sono soprattutto a beneficio dell’occupazione maschile».
Esistono strumenti per favorire un recupero da parte dell’occupazione femminile?
«Sicuramente penso sia degno di nota il fatto che il Pnrr abbia scelto tra le priorità trasversali il contrasto alle disuguaglianze di genere nel mercato del lavoro. È importante aver acceso l’attenzione su questo aspetto perché le prospettive di miglioramento richiedono interventi significativi in termini di strumenti e di conciliazione vita-lavoro».
Uno sguardo al futuro: qualche previsione?
«Il trend generale ci restituisce una sostanziale ripresa del mercato del lavoro, seppure ancora troppo sbilanciata sul versante dell’occupazione maschile. Diciamo che ci sono le condizioni per una prospettiva di recupero, ma occorrerà vedere come si comporterà il virus e se ci saranno ulteriori ripercussioni sull’economia e sulle imprese».