Ancona-Osimo

Calano le imprese femminili nella provincia di Ancona. I dati Cna

Negli ultimi cinque anni (tra 2018 e 2022) le imprese femminili hanno perso 667 unità attive (-6,9%) e il complessivo tessuto di imprese si è ridotto di 2.367 unità (-5,9%)

Nella provincia di Ancona le imprese attive “femminili” (le imprese dove controllo e proprietà sono prevalentemente in capo a donne[1]) sono 8.968 alla fine del 2022; erano 9.635 alla fine del 2018. In un solo anno si sono perdute 383 imprese e in termini percentuali la perdita è stata del -4,1%. Nel 2022 la provincia ha perduto 1.315 imprese attive e la perdita è stata del -3,4%. Dunque le imprese femminili hanno subìto maggiormente il processo di selezione che caratterizza il tessuto delle imprese della provincia. (Fonte: Cna territoriale Ancona)

Negli ultimi cinque anni (tra 2018 e 2022) le imprese femminili hanno perso 667 unità attive (-6,9%) e il complessivo tessuto di imprese si è ridotto di 2.367 unità (-5,9%): anche in questo caso le imprese femminili hanno sofferto di più del processo di ridimensionamento che ha interessato il tessuto complessivo delle imprese attive.

La struttura per macro-settori delle imprese femminili al 2022 risulta sensibilmente differente: le imprese femminili hanno una ben maggiore concentrazione nei servizi (67,5% contro il 60,1% del tessuto complessivo di imprese della provincia) e nell’agricoltura (19,3% contro 15,1%) mentre sono assai meno presenti nelle costruzioni (3,5% contro 13,6%); non è, invece, così differente il ruolo delle manifatture: tra le imprese femminili pesa per quasi il 9,7% e tra le imprese totali l’11,3%.

Nel corso degli ultimi 5 anni le caratterizzazioni settoriali del tessuto di imprese femminili hanno visto accentuarsi solo il peso dei servizi (dal 65,9% del 2018 al 67,5% del 2022) mentre è diminuito il peso del primario (da 20,4% a 19,3%), si è alleggerito quello del manifatturiero (da 10,3% a 9,7%) ed è lievemente cresciuto quello delle costruzioni (da 3,4% a 3,5%).  

Nel periodo 2018-2022 le imprese femminili hanno perso 328 unità (-13,3%) nel commercio; ne hanno perdute poi 236 nell’agricoltura (-12,0%) e altre 123 (-12,7%) nel manifatturiero e 44 nei servizi di alloggio e ristorazione (-5,1%). Si può notare, nel paragone con le dinamiche settoriali per il complessivo tessuto di imprese della provincia, che le imprese femminili diminuiscono più intensamente nell’agricoltura (-12,0% contro -10,3%), nelle manifatture (-12,7% contro -7,6%) e nei servizi al turismo (alloggio e ristorazione: -5,1% contro -1,4%), come anche nel commercio (-13,3% contro -12,1%).

Tuttavia, in alcune attività di servizio definibili “ad alta intensità di conoscenza”, le imprese femminili crescono di numero più intensamente di quanto avvenga per il complesso delle imprese: è il caso dei servizi di informazione e comunicazione (+14,6% le imprese femminili e +0,0 % il totale provinciale), delle attività immobiliari (+8,9% contro +7,7%), delle attività professionali, scientifiche e tecniche (+9,1% contro +4,4%), dell’istruzione (+9,4% contro +8,9%).

Nel settore delle altre attività di servizi, dove si concentrano attività a forte connotazione femminile (parrucchierie, estetiste, lavanderie, ecc.) la crescita pur leggera delle imprese femminili (+0,5%) è in controtendenza con la leggera perdita del totale imprese nel settore (-0,5%). Dunque, il ruolo delle imprese femminili della provincia è trainante nei settori più avanzati dei servizi, mentre il tessuto delle imprese femminili è meno resiliente alla selezione che interessa i settori tradizionali dell’agricoltura, del commercio e del turismo, e il manifatturiero.

«I dati esaminati ci restituiscono una fotografia chiara, esito del lungo periodo critico prima per la pandemia e poi per la crisi del conflitto e relativi aumenti dei costi – dichiara Anna Fenucci presidente Cna Impresa Donna di Ancona – le donne così come i giovani hanno rivolto il loro investimento professionale in attività immateriali di consulenza e servizi, ovvero dove necessitano di meno investimenti  e strutture “leggere” nei costi di esercizio».

[1] Il grado di partecipazione femminile è desunto dalla natura giuridica dell’impresa, dall’eventuale quota di capitale sociale detenuta da ciascun socio e dalla percentuale di donne presenti tra gli amministratori o titolari o soci dell’impresa. In generale si considerano femminili le imprese la cui partecipazione di donne risulta complessivamente superiore al 50% mediando le composizioni di quote di partecipazione e di cariche amministrative detenute da donne per tipologia di impresa, in base a determinati criteri.