ANCONA – Cambiamenti climatici, il genere umano sparirà davvero? Questa è una delle domande più a lungo termine che ci poniamo un po’ tutti. E poi, di domanda, ce n’è una a breve termine, per così dire. Una di quelle che ci interessa nell’immediato: ma le Marche, alla luce di questo cambio repentino del tempo e delle temperature cosa hanno da perdere?
In particolare, quali sono le conseguenze dei cambiamenti climatici per il nostro territorio? Ne abbiamo parlato con Fusto Marincioni, professore associato di Geografia al Dipartimento di Scienze della vita e dell’ambiente dell’Università Politecnica delle Marche.
Professore, in che modo i cambiamenti climatici stanno impattando sul nostro territorio? Ci sono, ad esempio, specie animali o vegetali a rischio per questo?
«Non sono botanico né zoologo, ma da geografo ambientale, occupandomi di rischio e disastri, dico che il cambiamento ambientale in corso sta producendo alterazioni profonde sull’ecosistema locale. Tuttavia, quello che dobbiamo capire è che il cambiamento ambientale (quello climatico in primis) è parte della natura e del suo modo di funzionare».
Cioè?
«Cioè, nulla di nuovo sotto il sole. Il problema non è il cambiamento, ma la sua repentinità. Le attività antropiche hanno accelerato l’alterazione di certi equilibri e processi funzionali del nostro habitat; processi o servizi ecosistemici di base (che ci regalano cibo, aria e acqua pulita) e che ci hanno garantito la sopravvivenza in questo pianeta. Quando un habitat cambia, nuovi equilibri si instaurano e nuove specie colonizzano il territorio e la vita biologica va avanti. Questo è quanto sta avvenendo».
Quindi, il pianeta sta bene?
«Sì, e funziona come ha sempre funzionato, non è certamente malato. Al contrario, la specie Homo sapiens rischia molto».
La provoco: c’è ancora un futuro per l’uomo sulla terra?
«Scommetto di sì, ma sarà un futuro diverso e con stili di vita differenti da quelli che abbiamo avuto negli ultimi due secoli. A dispetto della nostra capacità di alterare l’ecosistema terrestre (Antropocene) la nostra sopravvivenza sarà legata al nostro prendere coscienza che siamo noi ad aver bisogno della natura e non viceversa».
Siamo usciti migliori dalla pandemia sul fronte della tutela ambientale?
«La guerra in Ucraina dimostra che la pandemia non ci ha reso migliori. Diversi forse, ma ancora egoisti».
Cambio la domanda: usciremo migliori per via dei cambiamenti climatici?
«Si, o capiremo e ci adatteremo, o periremo. È difficile prevedere quanto sarà doloroso questo adattamento. Ma sono in corso importanti progressi e sviluppi per adattarci ai cambiamenti climatici e ambientali. Però se siano sufficienti è difficile da dire. Mi preoccupa la velocità di cambiamento degli habitat, lo scioglimento della calotta antartica, lo scongelamento del permafrost e via dicendo».
Quale impatto hanno i cambiamenti climatici sulla nostra regione, dal punto di vista economico?
«I cambiamenti climatici sono un disastro ad insorgenza lenta (al contrario di quelli rapidi, come il terremoto). Gli effetti, specialmente quelli indiretti, si paleseranno nel lungo termine. Difficile fare una stima sulle conseguenze economiche se non riusciamo nemmeno ad avere un quadro chiaro di quello che ci aspetta. Certamente, l’impatto sarà pesante. Va però ricordato che un disastro è sempre bifronte: da un lato c’è distruzione e fine, dall’altro c’è opportunità e nuovo inizio (per chi sopravvive)».
E l’impatto dal punto di vista agricolo?
«Temo sarà altrettanto grave. Ci sarà bisogno di profondi adattamenti sia in termini di tipologia di colture sia in termini di tecnologie utilizzate.
Nella guerra tra Russia e Ucraina, sembra vincere il carbone, una delle fonti energetiche più inquinanti. Uno scenario che fa riflettere, non trova?
«Sì, è la fine di un ciclo socio-ecologico come definito dal Canadese Crawford Stanley Holling (ecologo umano), qui il discorso si allungherebbe di molto».
Faccia un sunto…
«La vecchia umanità non vuole ancora riconoscere che l’era del petrolio è finita e cerca testardamente di continuare. Un ultimo colpo di coda di un sistema in agonia che però continua a seminare distruzione e morte. Purtroppo, chi pagherà il prezzo maggiore di questo hubris sono le future generazioni che erediteranno un habitat ancora più alterato e difficile da vivere».
Quali le soluzioni per arginare i danni da cambiamenti climatici? Cosa può fare ognuno di noi e cosa deve fare la politica?
«L’adattamento ai cambiamenti ambientali è legato al nostro senso di responsabilità verso i nostri figli. Non è un problema tecnico o scientifico, è un problema etico. Sappiamo già tutti cosa c’è da fare. Ce lo siamo detti in tutte le salse. È solo questione di prendere il coraggio fra le mani e cambiare. Per questo bisognerà capire che “il fatto che possiamo fare cose non ci dà il diritto di farle.” Ci sono interessi di specie (Homo sapiens) più grandi degli interessi individuali».
In sintesi?
«Non esiste una soluzione facile e indolore ai cambiamenti climatici-ambientali. Sono necessari un patto intergenerazionale, Scelte guidate da principi etici e non da mere considerazioni economiche. Occorre il coraggio di cambiare e agire subito (per evitare i feedback positivi dei cambiamenti che non ci lascerebbero scampo). Bisogna ritrovare il senso della misura, l’umiltà nei confronti di madre natura. E soprattutto bisogna attribuire alla natura lo status di soggetto giuridico».
Cioè?
«I crimini contro l’ambiente (distruzione della casa comune), dovrebbero essere equiparati ai crimini contro l’umanità. Questo sta già avvenendo in certe parti del Mondo: nell’aprile 2018, la Corte Suprema di Giustizia della Colombia riconosce la foresta Amazzonica come entità soggetta a diritti di protezione, di manutenzione, di riparazione. Alla foresta Amazzonica è stato riconosciuto il diritto alla vita. La sentenza fu la risposta ad un gruppo di 25 giovani (tra i 7 e i 26 anni) che ha fatto causa al governo colombiano, chiedendo di proteggere il loro diritto di vivere in un ambiente sano».