«Nelle Marche si è poveri pur lavorando. Più della metà dei lavoratori è precario o part time, e un terzo ha salari al di sotto della soglia di povertà. La ripresa occupazionale degli ultimi anni è rappresentata prevalentemente da rapporti di lavoro precari, discontinui e a tempo parziale che hanno pesantemente eroso i rapporti di lavoro stabili e a tempo pieno che ormai interessano solo un lavoratore su due. Avere un lavoro in questa regione, purtroppo, non è sufficiente a garantire una vita libera e dignitosa come recita la costituzione». Nelle parole di Daniela Barbaresi, segretario regionale Cgil Marche, emerge la fotografia di un mercato del lavoro in cui «disuguaglianze e criticità sono cresciute negli ultimi 10 anni», e con «salari sempre più poveri che indicano la fragilità del sistema economico marchigiano». Dunque, questo l’appello alla politica nazionale e regionale, «parlare solo di numero di occupati non basta più, se non si valuta anche la qualità dei rapporti di lavoro e il numero di ore lavorate, mentre è cresciuto prepotentemente il lavoro povero».
La segretaria regionale della Cgil, dalla sede di Ancona insieme a Giuseppe Santarelli, responsabile Cgil Marche per il mercato del lavoro, e a Elisa Marchetti dell’Ires Cgil Marche, ha illustrato oggi alla stampa la fotografia di 10 anni di salari e di occupazione in regione, con i dati Inps 2009-2019 per i lavoratori dipendenti elaborati dal centro studi Ires. Dati da cui emergono la tenuta del lavoro dipendente (con 433mila addetti, +2,3% in dieci anni), numero comunque inferiore ai livelli pre crisi quando si registravano oltre 435 mila lavoratori, un trend comunque peggiore rispetto alle medie nazionali e delle regioni del centro. Le forme di lavoro precario sono cresciute nel periodo, più diffuse tra donne (al 50% rispetto al 20% degli uomini) e lavoratori under 30. In calo l’occupazione giovanile (in 10 anni 16mila lavoratori in meno).
Osservando le tipologie contrattuali emerge che 148 mila lavoratori, ovvero più di uno su tre, hanno un rapporto di lavoro part time. I lavoratori part time sono sostanzialmente stabili rispetto al 2018 (+0,5%) ma sono notevolmente cresciuti rispetto al 2009 (46 mila lavoratori in più, pari a +44,6%). Questi lavoratori rappresentano il 34,2% dei lavoratori complessivi (erano 24,2% nel 2009). I lavoratori con contratto di lavoro a termine sono 100 mila, pari al 23,2% del totale (19,1% nel nel 2009), diminuiti rispetto all’anno precedente di 12 mila unità (-10,9%) ma ancora notevolmente al di sopra di 10 anni fa: 19mila in più (+24,1%). I lavoratori stagionali sono 14 mila, in continua crescita e più che triplicati in 10 anni. I lavoratori somministrati sono 29 mila (-9,5% rispetto al 2018) e costituiscono il 6,2% del complesso dei lavoratori dipendenti e sono quasi esclusivamente precari. Rilevante anche il numero dei lavoratori intermittenti: oltre 36 mila, 2 mila in più in un anno (+6,6%) e che rappresentano l’8,4% del totale dei lavoratori. Coloro che hanno un contratto a tempo pieno e indeterminato sono 223 mila, pari al 51,5%, ovvero la metà del complesso dei lavoratori dipendenti (erano il 62,7% nel 2009) e sono 42 mila in meno rispetto a 10 anni fa (-16,1%).
I lavoratori di genere maschile sono oltre 241 mila, pari al 55,7% del totale mentre le lavoratrici sono 192 mila, pari al 44,3%. Peraltro il lavoro precario e parziale ha un impatto diverso tra i lavoratori e le lavoratici. Più della metà di queste ha un lavoro a tempo parziale (52,1% del totale) e solo una su tre ha un lavoro a tempo pieno e indeterminato (34,5%, a fronte di una percentuale del 64,9% per gli uomini). I dipendenti fino a 29 anni sono quasi 86 mila (19,8% del totale dei lavoratori dipendenti) e sono prevalentemente precari e con orario parziale. Il numero degli occupati under 30 è sostanzialmente stabile rispetto al 2018 (+0,6%), ma è di molto inferiore a quello del 2009, quando questi erano oltre 16 mila in più, segno che i giovani hanno pagato il prezzo più alto della crisi. E’ inoltre importante evidenziare come il precariato incida maggiormente sui giovani.
Sul fronte dei salari, con una media di 19.517 euro annui, le retribuzioni sono inferiori al valore medio delle regioni del Centro (-1.734 euro) e nazionale (-2.447 euro). I lavoratori con un lavoro a tempo parziale percepiscono mediamente retribuzioni di 10.950 euro lordi annui, quelli con un contratto di lavoro a tempo determinato 9.022 euro lordi annui, per i lavoratori somministrati 8.768 euro, per gli intermittenti 1.941 euro lordi annui. I lavoratori con contratto a tempo pieno e indeterminato ricevono una retribuzione lorda annua di 27.758 euro.
Enormi i divari salariali di genere e per età: le lavoratrici percepiscono 7.161 euro meno dei loro colleghi maschi (-31,6% in meno), e gli under 30 percepiscono una retribuzione lorda annua di 11.410 euro, oltre 8 mila euro in meno rispetto all’importo medio dei dipendenti privati nel complesso. «Dati alla mano – ha aggiunto Santarelli – non possiamo stupirci se i nostri giovani lasciamo le Marche e l’Italia».
Arrivando all’oggi, a causa dell’emergenza sanitaria, stanno arrivando dati molto preoccupanti ma di sostanziale tenuta almeno sul fronte del mercato del lavoro dipendente. «Nel 2020 – ha detto Santarelli – nelle Marche il lavoro dipendente ha retto, a soffrire sono stati maggiormente i precari, gli stagionali, gli autonomi, sono stati loro i primi espulsi dal mercato del lavoro. Quello che temiamo di più è il 2021 che rischia di essere un anno spaventoso per l’occupazione, con la fine della proroga della cassa integrazione per Covid, degli ammortizzatori sociali e del blocco dei licenziamenti». «Non sono da dimenticare poi – ha rammentato la Barbaresi – i lavoratori autonomi, il popolo delle partite Iva che cela a volte sacche di grande marginalità e di forte precarietà. Anche loro stanno pagando un pesante tributo alla crisi in corso».