ANCONA – Chi l’ha detto che solo le donne possono truccarsi? E soprattutto: davvero il trucco è soltanto un modo per mascherarsi e nascondersi? Di questo (e di molto altro) si parla nel libro “L’apparenza che non inganna”, scritto da Clara Cittadini, la truccatrice dei vip.
Lei, originaria di Recanati (in provincia di Macerata), trucca e ha truccato i personaggi più conosciuti del mondo dello spettacolo: da Mauro Coruzzi (Platinette) a Neri Marcorè, passando per Corrado Tedeschi, la campionessa di scherma Bebe Vio, Fabio Testi, lo scomparso Flavio Bucci, Amanda Sandrelli.
Un curriculum infinito, il suo: basti pensare che Cittadini ha lavorato sul set de ˈIl giovane favolosoˈ, di Mario Martone, sul set internazionale di ˈTo Rome with loveˈ, diretto da Woody Allen e ha ideato progetti di formazione di trucco cinematografico per il Distretto culturale Evoluto con Fondazione Marche cultura e Marche film Commission. Truccatrice per il teatro dell’Opera di Roma, il teatro Nuovo di Spoleto e il festival dei Due Mondi, è stata chiamata a Rio De Janeiro, in Brasile, dove – con il suo team – ha truccato i ballerini dei carri del Carnevale.
Il volume, presentato il 5 maggio ad Ancona (alla libreria Fogola, con introduzione di Elena Casaccia, della Guasco, ndr) è disponibile da Fogola, ma anche a Recanati, a Loreto e su Amazon.
Cittadini, perché questo libro?
«Per spiegare il concetto di trucco: non è qualcosa che maschera, ma che ˈtira fuoriˈ. Il volume si intitola così perché vorrei sfatare la finta credenza del trucco come maschera che ci allontana da noi stessi. Direi piuttosto che è un mezzo per far emergere ciò che già ci appartiene».
Lei lavora molto nel cinema…
«Sì, il trucco cinematografico sposta l’attenzione sui pregi, magari celando i difetti, ma sempre in modo naturale. Bisogna portare il trucco del cinema nella quotidianità, di modo che quando vieni guardata, tu possa sentirti dire “Come sei bella” e non “Che bel trucco che hai”».
Che rapporto ha con Recanati, la sua città?
«Ho un rapporto particolare, un po’ come quello di Leopardi (ride, ndr). Nel senso che non mi sono sentita né accettata né riconosciuta. Ora, con la presentazione del libro, forse va meglio: le persone hanno capito che ho fatto un lungo percorso e che c’è molta differenza tra truccatrice ed estetista».
Spieghi meglio…
«Quando iniziai, 22 anni fa, mi davano dell’estetista. Intendiamoci, gli estetisti sono bravissimi nel loro lavoro, non ho nulla contro la loro categoria, ma io sono una truccatrice, che è una cosa ben diversa».
Cioè?
«Cioè, l’estetista non fa servizi fotografici al cinema, non sta al teatro dell’Opera, in Rai, o sui set. L’estetista cura tutto il corpo, fa la ceretta, cura mani e piedi, fa massaggi e trattamenti. Invece, il truccatore cura esclusivamente il viso e lavora nei teatri, o per servizi fotografici e shooting. Ha una conoscenza per la creazione di un personaggio cinematografico e teatrale, collabora alla caratterizzazione di un personaggio. Noi truccatori sappiamo fare protesi o finte ferite per la tv. E l’unica cosa che potrebbe accomunare estetisti e truccatori è che i secondi possono lavorare anche per le cerimonie, tanto quanto i primi. Sa cosa mi fa arrabbiare?».
Lo dica…
«Che il mestiere del truccatore, a livello nazionale, in Italia, non è riconosciuto. Devi avere la partita Iva come consulente d’immagine, che non è una partita Iva da truccatore. E ancora più strano è il fatto che il truccatore sta sotto – per così dire – all’estetista. Ne ho parlato spesso con Neri Marcorè e Platinette, o coi giornalisti Rai. Senza noi truccatori, nessuno andrebbe in onda. Tutte le pubblicità, gli spot, i cartelloni per strada o le trasmissioni tv necessitano di un truccatore prima di arrivare al grande pubblico».
Lei ha insegnato in parecchie scuole di estetica, vero?
«Sì, ma lì si insegna un trucco basico».
Quale è stata l’esperienza più bella?
«Ce ne sono due: la prima è stata quella con la fiorettista paralimpica Bebe Vio. Il suo viso ha diverse cicatrici e il regista dello spot pubblicitario mi disse che non sapeva se Bebe avrebbe voluto coprirle. Lei è stata carinissima, mi ha detto: ˈClara, truccami solo gli occhi. Le cicatrici voglio che si vedano’. Come a dire che non si sarebbe sentita sé stessa senza le sue ferite. Questo mi ha dato una forte carica di energia, che cerco di trasmettere anche a quelle clienti che invece mi dicono tutti i giorni ˈCoprimi le rugheˈ».
E la seconda esperienza più bella?
«Il Carnevale di Rio. Siamo andati in Brasile a fare le protesi per i carri. Eravamo solo 3 italiani nello staff, sono state 36 ore di lavoro non-stop».
Il trucco più difficile?
«Quello per Maria Esposito (di Mare fuori, ndr). Lei è un’estetista, è abituata a truccarsi da sola. È stata dura entrare in contatto con una ragazza di un’altra generazione, che ha una determinata visione di sé. Sa, il truccatore deve empatizzare con la persona che ha davanti, dialogare e farla sentire a proprio agio».
Ma è proprio vero che il trucco è solo per donne?
«Assolutamente no: chi l’ha detto? Tutti gli attori e i giornalisti uomini, prima della messa in onda, vengono truccati».
Io intendo nella vita vera, Clara, gli uomini nella quotidianità…
«Beh, guardi, a mio marito do un siero antisudore quando ha delle riunioni importanti. Un tempo, c’era una visione diversa dell’uomo truccato: nessuno doveva sapere che un signore s’incipriava. Invece, ora c’è un approccio diverso. Se una persona si vede meglio con determinati accorgimenti, perché non adottarli? Corrado Tedeschi, per esempio, che trucco per degli spot, arriva in scena con delle occhiaie assai marcate, dopo aver guidato 4 ore in autostrada. Io gli passo del contorno occhi alla birra e un rullo sotto gli occhi ed ecco che sparisce tutto. Alla fine, Tedeschi mi ha chiesto dei consigli per la vita di tutti i giorni. Che male c’è a sentirsi bene?».