ANCONA – Giochi online e acquisti di beni di lusso come pellicce invece di pagare le tasse e i contributi previdenziali. Così diverse aziende nel Senigalliese hanno aggirato il Fisco per 23 milioni di euro. Ora però sono finite in 15 procedimenti penali a carico di 68 soggetti, tutti cinesi.
Gestivano aziende specializzate nel confezionamento di prodotti tessili come maglieria e capi di abbigliamento anche griffati. Negli ultimi 5 anni avrebbero gestito 57 imprese. Gli orientali sono stati denunciati per reati fiscali quali riciclaggio e autoriciclaggio di proventi illecitamente accumulati.
Cinque le fabbriche scoperte nella provincia dorica: tre a Senigallia e due a Trecastelli. Ma la frode ha visto coinvolti anche i territori di Ostra e Mondolfo. Scoperti 23 lavoratori in nero che vivevano nelle fabbriche poi sequestrate e in condizioni igieniche precarie. Sporcizia e fornelli per cucinare in bagno, questo hanno trovato le fiamme gialle nelle perquisizioni.
L’indagine della guardia di finanza, partita nel 2016, ha portato già a due sentenze passate in giudicato sui 15 procedimenti penali avviati, sotto il coordinamento del pubblico ministero Rosario Lioniello. Le imposte non pagate venivano spese per giochi online e acquisti di beni di lusso, come ad esempio costose pellicce, fatti per lo più in via Monte Napoleone a Milano.
«È la più grande frode fiscale per numero di indagati e imprese coinvolte – ha spiegato il generale Claudio Bolognese, comandante provinciale della guardia di finanza – che è stata mai trattata nel territorio. Alta anche l’incidenza del capitale umano utilizzato per i lavori che venivano dati da imprenditori nazionali che riteniamo estranei ai fatti. Le perquisizioni eseguite hanno anche permesso di trovare 23 lavoratori in nero che vivevano nelle fabbriche in cattive condizioni igieniche».
Al lavoro la tenenza della finanza di Senigallia guidata dal comandante Antonio Pezzulla che ha spiegato come «queste imprese agivano con un sistema di apri e chiudi continuo» in modo da non pagare il fisco e intascare i guadagni a scapito anche dei contributi previdenziali da versare. A far partire l’indagine sono stati gli accertamenti avviati nei confronti di ditte che si erano indebitati con l’Erario. «Ditte che operavano per tre anni – ha detto Francesco Salvo, comandante gruppo Ancona – e poi cessavano l’attività e la partita Iva ma che venivano subito rimpiazzate da altre, nella stessa azienda, con gli stessi operai e gli stessi macchinari».
La finanza ha segnalato alla procura anche quattro istituti di credito, sette direttori di filiale e due commercialisti marchigiani che avrebbero avuto ruoli di complicità nel giro dell’evasione perché avrebbero omesso di segnalare operazioni sospette ai fini della normativa antiriciclaggio. Le cinque fabbriche nel Senigalliese sono state sequestrate così come 342 macchinari e sei autovetture. Sette i dominus di tutto il gruppo, tutti cinesi che si facevano chiamare con nomi italiani quali Luisa, Linda, Francesco, Mike, Romeo, Marco e Marcello, residenti nella provincia dorica. Per la finanza sono le menti del sistema illecito messo in piedi. Tale sistema ha danneggiato operatori corretti e generato concorrenza sleale nei confronti di ditte che, al pari dei cinesi, fanno lo stesso lavoro ma con costi più alti perché pagano le tasse e contributi.
(articolo pubblicato alle 11.20 e aggiornato alle 19)