Ancona-Osimo

Consumo alimentare e cambiamento climatico, Serpilli: «Le nostre scelte possono fare la differenza»

L'anconetana è direttrice dell'Osservatorio VeganOK e sarà una delle protagoniste dell’edizione 2020 di TEDxCoriano. L'abbiamo intervistata

Laura Serpilli, direttrice Osservatorio VeganOK

ANCONA- Esiste una stretta correlazione tra consumo alimentare e cambiamento climatico e in questa partita a fare la differenza sono le scelte individuali, come ci spiega Laura Serpilli, direttrice dell’Osservatorio VeganOK e portavoce dell’azienda nel progetto (coordinato dalla Ong Safe) di creazione di uno standard europeo sul concetto di “vegan”. Trentaquattro anni, di Camerano, sarà una delle protagoniste dell’edizione 2020 di TEDxCoriano, in programma il 10 ottobre a Cerasolo, frazione di Coriano (RN).

In che modo esiste una correlazione tra consumo alimentare e cambiamento climatico? «Il sistema alimentare impatta moltissimo a livello ambientale, in particolare il consumo e la produzione di carne, di latte e di derivati animali. Le scelte a livello economico per portare il cibo sugli scaffali e di conseguenza sulle nostre tavole, hanno un impatto ambientale molto forte. A dirlo sono numerosi studi, anche autorevoli, che rafforzano il legame tra abitudini alimentari e il climate change. Basti pensare ad esempio che per produrre un kg di carne di manzo occorrono più di 15 mila litri di acqua. Ovviamente, per quanto riguarda il climate change, l’alimentazione non è l’unica leva ma sicuramente è una di quelle che impattano maggiormente».

Quali soluzioni suggerisce di adottare? «Una strategia è eliminare dalla nostra dieta o ridurre al minimo tutti i derivati animali. Questo possiamo farlo subito, dalla prossima volta che entriamo in un bar per fare colazione o quando andiamo a fare la spesa al supermercato. L’alimentazione è importante perché possiamo fare la differenza come singoli: possiamo scegliere in maniera individuale che cosa comprare, che cosa autoprodurre, dove servirci».

Quindi, cosa mettere nel carrello della spesa? «Nel carrello possiamo mettere prodotti vegetali. Il mercato ci offre una grande quantità di sostituti, ad esempio, gli analoghi della carne. Oppure possiamo comprare i legumi che soddisfano perfettamente il fabbisogno proteico. Al posto del latte vaccino possiamo acquistare un’infinità di bevande vegetali. In uno studio del 2018 dell’Università di Oxford si mettono a confronto le immissioni, il consumo di suolo e l’utilizzo di acqua per produrre latte di derivazione animale e bevande vegetali, come ad esempio di avena. Emerge che il latte vaccino ha un impatto di gran lunga superiore».

In che direzione sta andando il mercato? «In questo momento ci troviamo di fronte a quella che, a livello globale, potrebbe essere definita una rivoluzione vegetale, green. Sempre più persone mettono nel carrello cibi vegani e vegetariani. Secondo l’indagine Eurispes, in Italia il numero di vegani e vegetariani rappresenta l’8,9% della popolazione, è un massimo storico. Sta crescendo molto la fetta dei flexitarian: non si definiscono né vegani né vegetariani ma per motivi di impatto ambientale, etici e di salute decidono di ridurre al minimo il consumo di derivati animali a vantaggio dei prodotti 100% vegetali. Inoltre, il settore vegan è in ascesa in tutto il mondo. Durante il lockdown ci sono state indagini, tra cui quella dell’istituto di ricerca Nielsen, da cui è emerso che negli Stati Uniti le vendite degli analoghi della carne sono aumentate di quasi il 200%. E questo in un periodo di osservazione molto breve. Il trend è lo stesso in Italia, credo che chiunque entrando in un supermercato abbia notato come la quantità di prodotti vegetali reperibili sia maggiore rispetto a qualche anno fa».

Occorre una maggiore sensibilizzazione? «Sì, occorrono sensibilizzazione e volontà di osservare il problema dal punto di vista del sistema alimentare, in particolare per ciò che concerne la produzione di carni e derivati. Secondo i dati della Fao, gli allevamenti contribuiscono per oltre il 14% sul totale delle emissioni di gas serra. Questi dati sono stati confermati anche dall’Ispra. In Italia, facendo riferimento al particolato primario e secondario, l’allevamento incide per il 15,1% ed è al secondo posto per le emissioni solo dopo il riscaldamento. Inoltre, sempre secondo la Fao, l’80% dei terreni agricoli sono destinati alla produzione di mangimi per gli allevamenti intensivi. Questi aspetti non possono essere ignorati».