ANCONA – Mentre si discute della possibilità di estendere la terza dose a tutta la popolazione, la somministrazione procede un po’ al rallentatore sia in Italia che nelle Marche. Attualmente possono riceverla gli immunocompromessi, gli over 80, over 60 e gli ospiti delle Rsa, oltre al personale sanitario. Alla data del 28 ottobre nelle Marche sono 23.088 le terze dosi inoculate.
«La terza dose di vaccino anti-Covid-19, attualmente Pfizer, presto anche Moderna – spiega il professor Andrea Giacometti, primario della Clinica di Malattie Infettive di Torrette -, è sicuramente utile per rafforzare la risposta immunitaria. È questo l’effetto benefico che produce, ma purtroppo non possiamo precedere quanto a lungo durerà la nuova copertura. Possiamo solo dire che probabilmente si estenderà oltre i 6-8 mesi attualmente garantiti, nella maggior parte dei casi, dalle prime due dosi».
Dopo quanto tempo si verifica un calo dell’efficacia dei vaccini contro il Covid? Ed è uguale per tutte le persone e per tutti i vaccini?
«Il calo di efficacia delle prime due dosi di vaccino si verifica dopo 6-8 mesi e sicuramente questo dipende sia dal tipo di vaccino, il più immunogeno dovrebbe essere il Moderna, che contiene 50 mcg di mRNA virale, mentre il Pfizer ne contiene solo 30 mcg, e sia dalla persona che riceve il vaccino. È chiaro che l’anziano di 80-90 anni non avrà la stessa risposta immunitaria di un giovane, e così anche chi assume farmaci tipo cortisone o è immunodepresso per altri motivi avrà una risposta anticorpale generalmente inferiore».
Quale è la differenza tra terza dose e richiamo (booster)?
«Dobbiamo distinguere per non fare confusione. Nel caso del vaccino anti-Covid il Ministero della Salute ha individuato due possibilità: o la dose “aggiuntiva” o la dose di richiamo. La dose aggiuntiva può essere somministrata già dopo 28 giorni dalla seconda ma solo nei soggetti realmente fragili (immunodepressi, oncologici in trattamento chemioterapico, trapiantati) mentre la dose di richiamo deve essere fatta dopo almeno 6 mesi dalla seconda. È chiaro che il “richiamo” è un concetto con il quale siamo già abituati: ad esempio il richiamo per l’antitetanica si fa ogni 10 anni. In pratica, la tempistica di un richiamo dipende dal tipo di malattia che si vuol evitare e dalla durata dello stimolo indotto dal vaccino». La cosiddetta dose booster altro non è che una dose di richiamo dopo il completamento del ciclo vaccinale primario. Inoltre Giacometti spiega che chi ha fatto il monodose può avere una dose di Pfizer a due mesi di distanza dal Johnson & Johnson.
La terza dose protegge dalle varianti ed è utile per la perdita di efficacia dei vaccini nel tempo?
«Serve per entrambi gli scopi. I dati acquisiti dimostrano che incrementa l’immunità anche verso le varianti. È ovvio che una piccola perdita di attività è prevedibile con le ultime varianti, ma i fatti dimostrano che contro le complicanze gravi ed il rischio di ospedalizzazione e morte l’efficacia è ancora molto alta. Inoltre, come ho già detto prima, viene prolungata nel tempo la risposta immunitaria indotta».
Il governo ha manifestato l’intenzione di estendere la terza dose a tutta la popolazione, lei che ne pensa? E a suo parare quanti tra coloro che hanno ultimato il ciclo vaccinale, procederanno a sottoporsi anche a questa dose?
«Sono d’accordo per estendere la terza dose a chi si è già sottoposto o avrebbe dovuto sottoporsi alle prime due dosi (in pratica tutta la popolazione dai 13 anni in su). Altrimenti, con il calo della risposta immunitaria si potrebbero avere sorprese nel tardo inverno o inizio primavera. Temo, comunque, che molti salteranno questa dose di richiamo perché fuorviati dalle voci di possibili reazioni pericolose in caso di persistenza di titolo anticorpale elevato dopo le prime due dosi. È per questo che in tanti si stanno sottoponendo a pagamento al test sierologico, con la speranza di rilevare ancora alti livelli anticorpali che, a loro giudizio, giustificherebbero l’evitare la terza dose. In realtà un alto titolo anticorpale non costituisce maggior rischio di reazioni avverse, così come un basso titolo non garantisce che la vaccinazione sarà ben tollerata e senza effetti indesiderati.
Qui bisognerebbe essere sinceri, perché l’eccessivo ottimismo sulla tollerabilità dei vaccini ha dato modo di trovare scuse a chi è contrario ad essi. I vaccini possono far male, anche molto male, come tutte le medicine, anche le più comuni e “banali”. Però il male fatto dai vaccini è praticamente nulla rispetto a quello provocato dalle malattie. È una considerazione puramente statistica ed esige sincerità e coraggio: i vaccini possono causare anche la morte, ma un caso su un milione. La malattia Covid-19, invece, causa 30.000 morti ogni milione di contagiati (controllate i numeri in Italia)».
La pandemia sta registrando una nuova fase di espansione, anche nelle Marche, nonostante su livelli per ora contenuti, quale è il grado di copertura della popolazione da raggiungere per limitarne la diffusione?
«È il solito discorso dell’immunità di gregge. All’inizio della pandemia si sperava che bastasse immunizzare il 65-70% della popolazione per bloccare efficacemente la trasmissione del SARS-CoV-2. Questo perché nelle prime fasi pandemiche il virus era meno contagioso. Poi man mano che si sono selezionate le varianti è aumentata la sua capacità di trasmettersi da uomo a uomo e, quindi, si è alzata la soglia di immunizzazione fino a ritenerla, oramai, intorno al 90%. Quindi nelle prime fasi era logico ritenere che se anche un italiano ogni 3-4 non avesse voluto vaccinarsi, avremmo comunque raggiunto l’immunità di gregge. Ora, invece, dovremmo vaccinare pressoché tutti e questo, ovviamente, presenta qualche difficoltà. Peraltro, ricordiamoci che finché ci sarà nel Mondo (non solo in Italia) gente non vaccinata, il virus continuerà a moltiplicarsi e a produrre varianti più diffusive. C’è solo da sperare che prima o poi decida di non essere solo più contagioso ma anche meno letale. La Natura dovrebbe spingerlo a questo, come sempre è stato nel processo di co-evoluzione fra uomo e microrganismi; il problema è che potrebbe volerci molto, moltissimo tempo».
Cosa si sente di dire ai No-Vax e a chi ancora dubita?
«Con tutta la comprensione possibile vorrei dire che vale la pena di rischiare. Non credano alle fandonie sul controllo della mente con i microchip o alla trasformazione del nostro genoma. L’RNA virale inoculato con il vaccino è niente rispetto a quello prodotto dentro di noi in caso di infezione. Anche io ero preoccupato quando mi sono sottoposto alle prime due dosi: si parlava di trombosi, embolie, coagulazione intravasale disseminata, encefaliti. Pochi giorni fa ho fatto la terza dose e mi chiedevano se temessi la miocardite. Queste cose io le ho viste realmente, ma fra i pazienti ricoverati per Covid e qualcuno non ce l’ha fatta.
Un’ultima cosa: è spiacevole che fra i non vaccinati ricoverati serpeggi il dubbio sulla congruità delle cure ricevute. Qualcuno mi ha chiesto se fosse vero che “li curiamo di meno” perché sono No-Vax. Io rispondo con due considerazioni: la prima è che ora i pazienti ricevono cure più efficaci rispetto a quelli ricoverati nelle prime fasi pandemiche, perché abbiamo più farmaci, di cui alcuni nuovissimi concessi dall’AIFA e altri ne stanno per arrivare. La seconda, più “umana” è che non giudico e non condanno i No-Vax e li curiamo al meglio con le risorse che abbiamo così come curiamo coloro che si mettono al volante sotto l’effetto di varie sostanze e causano incidenti, o guidano leggendo i messaggi sul cellulare o si abbuffano perché tanto prendono la statina che gli abbassa il colesterolo o a Natale si mangiano mezzo panettone perché tanto prendono “la pasticca per il diabete” o fumano pur sapendo che fa male, ecc.. I medici hanno giurato (Il Giuramento di Ippocrate) che cureranno chiunque senza distinzione di sesso, età, fede religiosa, opinione politica, etnia: se qualcuno ha cambiato idea deve anche cambiare mestiere».