ANCONA – «L’impatto della crisi di governo con voto anticipato sull’economia marchigiana? Si rischia di scivolare ancora più velocemente degli ultimi 5-10 anni verso il sud». Analizza i possibili scenari dopo la caduta del governo Draghi e le elezioni che si terranno il 25 settembre l’economista Mauro Gallegati, docente di Economia all’Università Politecnica delle Marche, allievo di Giorgio Fuà ed Hyman Minsky, oltre che visiting professor in diverse università, tra le quali Stanford, Mit e Columbia.
«La situazione è molto fragile – dice – perché siamo un Paese con un grosso debito pubblico e uno dei problemi maggiori sarà quello dei tassi di interesse che stanno salendo. Inoltre, speriamo che non ci sia un crollo delle borse a cui seguirebbe un crollo dell’economia e delle esportazioni che penalizzerebbe soprattutto quelle regioni che vivono di export, come le Marche».
La regione negli ultimi anni, oltre alle crisi vissute anche dal resto del Paese, ha dovuto fare i conti anche con il sisma del 2016. «Nelle Marche è forte il timore di perdere i fondi del Pnrr – osserva – ecco perché alcuni sindaci avevano sottoscritto l’appello a Draghi affinché restasse alla guida del Governo. In ogni caso molto dipenderà se riusciremo o meno ad attuare politiche fiscali adeguate e nella nostra regione, in particolare, se riusciremo a compiere quei progressi verso una economia digitalizzata e verso una rivoluzione informatica».
«Penso che indipendentemente dal fatto che salga al governo il centrodestra o il centrosinistra non ci saranno grandi novità in vista – afferma -: il centrodestra punta sulla flat tax, che in questa fase non mi sembra sia una politica di cui abbiamo bisogno perché meno tasse significa meno servizi, mentre il centrosinistra non ha dato prova di avere elementi di novità».
Secondo l’economista «le fasce di popolazione già in sofferenza, perché lavoratori precari e mal pagati, o inoccupati, andranno ancora peggio. Qualsiasi governo sarà eletto servirà un orizzonte di interventi di almeno 5-10 anni e non tirare a campare, altrimenti non riusciremo a gestire nessuna crisi. Se l’ottica è quella del domani e non del dopodomani, rischiamo di lasciare l’economia in mano ai potenti».
Pensa che in questa situazione di fragilità possa esserci il rischio di disordini sociali? «Speriamo di non arrivare alla lotta armata o ai tempi delle Brigate Rosse, ma il rischio che possano generarsi conflitti e disordini sociali può esserci. La gente dovrebbe protestare pacificamente per tentare di risolvere le criticità e non prendendo i ‘forconi’. Il rischio di disordini sociali comunque sarà tanto maggiore quanto più elevato sarà il numero dei disoccupati, dei lavoratori precari e sottopagati e che per questo prenderanno in futuro una pensione irrisoria: le imprese non possono discolparsi attribuendo le responsabilità di questa situazione agli oneri sugli stipendi, perché è proprio con questi che vengono pagati i servizi rivolti alla comunità, inoltre devono capire che un lavoratore pagato in maniera adeguata è anche più produttivo».