ANCONA – Cristina D’Avena arriva nelle Marche: il 2 ottobre (alle 18.30) si esibirà a Cupramontana, sul palco di via Leopardi, in occasione dell’85esima Sagra dell’uva. «Sono quasi astemia, ma adoro l’uva» dice l’artista bolognese, da sempre molto legata a questa regione: «Mia madre è di Jesi e avevo i nonni paterni ad Ancona. Nel capoluogo dorico trascorrevo le estati da bambina». E quando vede i cartelli stradali con scritto ˈMarcheˈ fa un bel respiro carico di ricordi.
La raggiungiamo al telefono e Cristina D’Avena risponde con la voce squillante e dolce di sempre. Quella che ha accompagnato generazioni di sogni guardando i cartoni. Lei, cantante, attrice, scrittrice e conduttrice, è un pezzo di storia della musica italiana. Apprezzatissima da adulti e bambini, con la fatina di sigle dei cartoni animati sono cresciuti milioni di italiani cantando colonne sonore di Kiss me Licia e Pollon, passando per Mila e Shiro e Occhi di gatto. Quarant’anni di carriera e oltre 7 milioni di copie vendute: lei è l’eterna Cristina D’Avena.
Signora D’Avena, parliamo di Jesi…
«Anzitutto mi chiami Cristina. ˈSignora D’Avenaˈ proprio no (ride, ndr)».
Come preferisce, Cristina. Dicevamo di Jesi…
«Beh, Jesi mi piace da morire, è una cittadina che ha tutto, è piccola, raccolta, carina. Poi qui ho il ricordo della mia nonnina, di quando al pomeriggio facevamo lunghe chiacchierate sorseggiando il tè in un bar del centro».
Come si chiamava sua nonna?
«Come me, Cristina, detta Tina. Era la mia più cara amica, sapeva tutto di me. Però mi piace ricordare anche l’altra nonna, quella da parte di papà, Clelia».
Nonni paterni che vivevano ad Ancona…
«Esatto».
Cosa ricorda di questa città?
«La zona del Passetto, in cui andavo spesso. Ero piccola, ma ricordo pure il mare di Portonovo, Senigallia e Numana».
Torna spesso nelle Marche?
«Sì, sono la mia seconda casa. Per lavoro ci sono stata di recente. E per le vacanze mi divido tra le Marche e il Salento».
A 3 anni e mezzo conquista il terzo posto allo Zecchino d’oro, con Il valzer del moscerino. Poi, si iscrive a Medicina ma non si laurea: come mai?
«Frequentavo Medicina e Chirurgia di Bologna. Ho sempre studiato anche mentre facevo telefilm. Poi, però, Medicina non è un’università facile. Insomma, bisogna frequentarle le lezioni, specialmente quelle in ospedale, i tirocini…».
Ma lei lo faceva…
«Sì, ma ad un certo punto non riuscivo più: per intenderci, quando c’era lezione in ospedale dovevo partire e quindi piano piano mi arenai».
E ora?
«Ora, mi piacerebbe portare a termine gli studi. Come hobby, chiaramente. Però posso sempre finire l’università e specializzarmi, non trova?».
Beh, certo, ma in quel caso dovrei chiamarla ˈDottoressa D’Avenaˈ…
(ride, ndr)
Senta, quale ambito della medicina le piace?
«Neuropsichiatria infantile. Amo la mente umana, capire come si comporta e perché».
Avrebbe voluto curare i bambini. Che poi è quello che ha fatto con le sigle dei cartoni…
«Eh, già. Ma lo sa che tantissimi genitori di ragazzi speciali, come li chiamo io, mi scrivono che i loro figli fanno progressi ascoltando Cristina D’Avena? Mi dicono che do forza e coraggio. E questo mi rende la persona più felice del mondo. La musicoterapia è importantissima e le note aiutano nella vita».
Qual è la colonna sonora della sua vita?
«Ce ne sono tantissime. Dico E tu di Claudio Baglioni, ma anche Questo piccolo grande amore. Per non parlare di Dalla e di Venditti».
Sui social si mostra sexy e bellissima. Qual è il segreto per rimanere giovani e stare sempre sulla cresta dell’onda?
«L’umiltà, essere sempre sé stessi, restando veri. La sincerità è l’ingrediente più importante nelle relazioni. Io credo di esserlo sempre stata, sia con gli amici sia col mio pubblico».
Che la segue da 40 anni…
«Sì, quest’anno festeggio i miei 40 anni di carriera».
Cosa direbbe alla Cristina bambina?
«Di stare tranquilla, di fare la brava, di tenere i piedi per terra e di studiare, come ho effettivamente fatto».
Mi tolga una curiosità: so che lei trascorre la notte a scrivere. Cosa scrive?
«Di tutto. Soprattutto quello che non riesco a fare durante il giorno. Mi appunto qualsiasi cosa: anche spunti per il mio lavoro, idee o altro. E non uso il pc, solo i block notes mi fanno concentrare. A casa avrò migliaia di quadernini. Sa cosa le dico?».
No…
«Che quando morirò, tra duecento anni, se qualcuno troverà i miei quadernetti capirà tutto (ride, ndr)».
C’è una canzone (o una sigla) che avrebbe voluto scrivere (o cantare) lei?
«La canzone di Charlotte (la intona al telefono, ndr)».
Perché?
«Perché quando ancora non sapevo che nella vita avrei cantato sigle di cartoni, la cantavo con mia sorella. Abbiamo una differenza di una decina d’anni e con un microfono finto ci divertivamo come matte con ˈLa canzone di Charlotteˈ».
Lei è apprezzatissima dal pubblico gay: come lo spiega?
«Credo che tutto ruoti attorno al fatto che sono sempre rimasta me stessa. Il pubblico arcobaleno che mi ama da una vita ha avuto modo di esprimersi attraverso le mie canzoni. Le sigle di Sailor Moon e Pollon aiutano la mente a liberarsi da tanti blocchi. In me, vedono una cara amica che fa uscire la parte più bella di ognuno».
Chiudiamo con un consiglio ai giovani che sognano di entrare nel mondo della musica.
«Consiglio le stesse cose che direi alla Cristina D’Avena di 3 anni e mezzo. E cioè: approfondite il vostro talento, restando umili. Il nostro è un lavoro molto particolare. Adesso, tutti pensano che entrare nel mondo dello spettacolo sia facilissimo. E forse è vero rispetto agli anni precedenti, ma è molto più difficile rimanerci. Quindi, secondo me, quando ci si appresta ad entrare in questo mondo, restate voi stessi e non aspettatevi nulla. Nel senso: cercate di andare avanti, sì, ma sempre e soprattutto col vostro talento. E non dimenticate di continuare a studiare, perché è fondamentale».