Ha il merito di aver portato la tradizione italiana e la cucina marchigiana in giro per il mondo. Con tavola e mattarello, stende la sfoglia persino in riva al mare e vanta esperienze e collaborazioni addirittura negli Stati Uniti. Su Instagram, il profilo @sfoglinasimonetta conta oltre 32mila follower e il suo sito
Per tutti è Sfoglina, ma il suo vero nome è Simonetta Capotondo. È lei l’anconetana di 50 anni che ha riportato in auge uno dei mestieri più antichi, quello di sfoglina, per l’appunto. Una professione forse poco conosciuta, che nelle Marche – in dialetto – veniva apostrofata come vergara o massaia.
«Ho lavorato negli uffici fino al 2008, ma non ero soddisfatta di ciò che facevo. Ogni due anni cambiavo mestiere. Poi, ho trovato la mia strada». Ha iniziato ad impastare e non ha più smesso. Dentro quel tortellino, Simonetta ha trovato la vita ripiena di felicità. «Con tavola e mattarello vado ovunque, impasto anche in riva al mare», ride.
Capotondo, partiamo dal podio di Lady Chef, il campionato nazionale della cucina italiana…
«Io non mi definisco chef. Per mia scelta ho deciso di specializzarmi nelle paste fresche fatte a mano, quindi ho lavorato come aiuto cuoca e cuoca nei ristoranti, in cui bazzico ormai da 16 anni. Però, mi definisco sempre Sfoglina, questa è la mia specialità. Mi hanno proposto di partecipare alla gara di Lady Chef. Dovevo presentare un primo piatto e ho portato la sfoglia fatta a mano, tavola e mattarello. Non pensavo che finisse così bene, è stata apprezzata molto. In quell’occasione, tra l’altro, ho ricevuto anche il Premio interazione social, perché secondo la giuria comunicavo bene (pure sui social) e durante la gara trasmettevo serenità e tranquillità».
Tutto in 45 minuti…
«Sì, ho preparato l’impasto, steso la sfoglia e confezionato il raviolo. La velocità è fondamentale. Sono contenta di aver rappresentato le Marche, è stata una bella sorpresa. Lady Chef è una branca della Federazione italiana cuochi, per dare valore al lavoro della donna nei ristoranti. Sa, spesso le donne, magari quelle sposate e con famiglia, hanno più difficoltà a lavorare nei ristoranti. Ecco perché di solito vediamo più uomini. Ma in un ristorante c’è spazio per tutti, basta organizzarsi».
Cioè?
«Nel senso che servono figure maschili e femminili. Le donne hanno quell’attenzione e quell’accortezza in più. Certo, magari non hanno la forza fisica di spadellare 10 chili di pasta, ma se a una donna viene data l’opportunità di organizzarsi bene col lavoro, il suo ruolo deve essere riconosciuto e aiutato».
Ha cambiato vita improvvisamente…
«Sì, fino al 2008 facevo la commerciale in varie aziende, ma non ero mai soddisfatta, cambiavo ogni due anni».
E poi ha cambiato vita…
«Questo è l’unico lavoro che dura e che non cambierò mai, è per sempre. Dall’ultimo lavoro come venditrice di attrezzature mi è venuta voglia di mettermi in gioco. Mi sono iscritta all’alberghiero di Loreto a 34 anni. Studiavo e lavoravo: volevo fare la pasta fresca fatta a mano. Sono entrata subito come Sfoglina. Solo dopo ho pensato di insegnare, tanto mi piaceva il mestiere. Le persone si fermavano a guardarmi mentre impastavo e io pensavo ˊse sono così interessate a guardarmi, magari vorrebbero pure imparareˊ. Così nel 2008 inizio a insegnare col nome di Sfoglina Simonetta».
La cucina c’è sempre stata?
«Sì, mi piaceva sin da piccola, ma non avevo mai avuto il coraggio di iscrivermi all’alberghiero. Dicevano fosse pesante e duro. Però, vede: io penso che ognuno debba seguire le proprie passioni, le proprie predisposizioni e i propri interessi. Nella vita le cose possono cambiare, io ora principalmente insegno e sono soddisfatta, ma ho fatto tanta gavetta. E sì, è un lavoro pesante, soprattutto per spalle e mani. Stare lì 8 ore di fila è tosta».
Ci racconta cosa fa?
«La Sfoglina non è relegata solo alla tagliatella domenicale della nonna, per intenderci. Ci sono tutte le altre paste fresche fatte a mano: dalle pappardelle ai ravioli e ai tortellini, passando per le lasagne e i cannelloni. Con farina e grano saraceno si fanno poi i pizzoccheri, mentre con semola macinata e acqua (quindi senza uova) si possono fare le trofie genovesi o i piatti del sud, come cavatelli, capunti e busiate».
Un’anconetana negli Usa…
«A Washington ho vissuto per un anno, lavoravo con chef Fabio Trabocchi (di Osimo, ndr). Poi, il Covid ha cambiato le carte in tavola e ho deciso di stare vicino alla famiglia, ad Ancona».
Lei è stata definita ˊambassador della cucina anconetana e marchigiana nel mondoˊ…
«C’è tanta curiosità, soprattutto dall’estero. Le mie class al laboratorio Guasco To Go, in piazza San Francesco, sono seguite anche da australiani, brasiliani e americani».
Progetti futuri?
«Fra un paio di settimane, a metà marzo circa, usciranno sul mio sito alcune videolezioni. In più, sto organizzando una puntata sui ravioli con Tv2000 e presto sarò prima in Messico e poi a Los Angeles per una conferenza e delle class sulla pasta».