ANCONA – Il 4 settembre scorso padre e figlio avevano evitato l’ergastolo per l’omicidio di Renata Rapposelli, la pittrice di 63 anni scomparsa il 9 ottobre del 2017 da Ancona e ritrovata morta il 10 novembre dello stesso anno, a Tolentino, in un fosso del fiume Chienti. La Corte di Assise di Teramo aveva condannato Simone Santoleri (figlio della donna) a 27 anni di carcere (24 per l’omicidio volontario e aggravato della madre e 3 per la distruzione del cadavere) e Giuseppe Santoleri (marito di Renata) a 24 anni di carcere: 21 per l’omicidio e 3 per la distruzione del cadavere della moglie. Adesso le difese ricorrono in Appello.
A fine dicembre, sia i legali del figlio, gli avvocati Gianluca Reitano e Gianluca Carradori, che l’avvocato del padre, Federica Di Nicola, hanno presentato il ricorso. L’Appello è basato in prima istanza sulla assoluzione, ritenendosi entrambi ancora estranei all’omicidio, e in subordine a considerare il reato di distruzione di cadavere come occultamento e in continuazione con l’omicidio volontario, non quindi due reati distinti. Questo al fine di uno sconto di pena sugli anni di condanna già stabilito in primo grado. A padre e figlio era state già riconosciute le attenuanti generiche.
I legali in primo grado avevano chiesto l’assoluzione perché il fatto non sussiste. Simone, rinchiuso nel carcere di Teramo, ha sempre negato le accuse. Il padre, in carcere a Pescara, aveva ammesso di aver partecipato a disfarsi del cadavere perché succube del figlio.
Renata sarebbe morta il 9 ottobre del 2017, a Giulianova, in Abruzzo, nell’abitazione dove vivevano marito e figlio. Il movente è stato economico. Quel giorno li aveva raggiunti in treno ed era scoppiato un litigio per i soldi del mantenimento che pretendeva da Giuseppe. In casa è stata strangolata e soffocata. Dopo un mese il cadavere fu trovato a Tolentino, a quasi 200 chilometri di distanza da Giulianova. Lì, secondo l’accusa, è stato portato in auto, avvolto in un sacco della spazzatura.