Ancona-Osimo

Difendiamo il mare, prima missione Greenpeace nell’Adriatico. Gregori (UnivPm): «Serve un approccio olistico»

Via alla prima missione Greenpeace nel Mare Adriatico. La barca a vela Bamboo salperà il 22 giugno dal porto di Ancona per arrivare a Brindisi con l'obiettivo di monitorare i livelli di inquinamento da plastica

Un momento della presentazione della missione Greenpeace. Da sinistra Garaventa, Gorbi, Ungherese, Gregori, Regoli

ANCONA – Salperà domani 22 giugno dal porto di Ancona per arrivare fino a Brindisi, la spedizione “Difendiamo il mare” di Greenpeace Italia che si occuperà del monitoraggio dello stato di salute del Mar Adriatico centro-meridionale. Giunta alla sua quarta edizione, l’obiettivo dell’iniziativa oltre a documentare la bellezza e la fragilità dei nostri mari, è quello di misurare i livelli di inquinamento da plastica e di denunciare come i cambiamenti climatici, insieme all’inquinamento, producano impatti negativi sull’ecosistema marino e sulle comunità costiere. 

L’iniziativa, presentata oggi all’Università Politecnica delle Marche, nell’ambito del convegno scientifico “Moby Litter un anno dopo: impatti, minacce ed opportunità per un mare in pericolo”, è stata organizzata in collaborazione con la Fondazione Exodus di don Mazzi, che mette a disposizione la barca a vela Bamboo. Alla spedizione parteciperanno i ricercatori dell’Istituto per lo studio degli impatti antropici e sostenibilità in ambiente marino (Ias) del Consiglio Nazionale delle Ricerche di Genova, del DiSVA (Dipartimento di Scienze della Vita e dell’Ambiente) dell’Università Politecnica delle Marche specializzati nello studio delle microplastiche ed esperti di flora e fauna marina costiera del DiSTAV (Dipartimento di Scienze della Terra dell’Ambiente e della Vita) dell’Università di Genova.

Il tour, della durata di tre settimane, toccherà il Conero, per il quale da tempo viene proposta la realizzazione di un’area marina protetta, alcune aree marine protette già esistenti fra le quali Torre del Cerrano, Isole Tremiti, Torre Guaceto, oltre a diverse zone colpite dall’inquinamento da plastica, come la foce del fiume Pescara, e altre aree soggette a impatti inquinanti o limitrofe a grandi centri urbani.

«La sostenibilità è un tema in cui siamo fortemente coinvolti» ha evidenziato il rettore dell’Università Politecnica delle Marche Gian Luca Gregori, che ha evidenziato l’importanza di un approccio olistico come «chiave di volta del problema», sottolineando la necessità di intervenire a monte dell’inquinamento.

Volontari Greenpeace

«La salute del mare è un tema di fondamentale rilevanza e attualità – afferma Gregori -, ma anche perché testimonia la necessità di creare sinergie ed approcci multidisciplinari per affrontare e trovare soluzioni a problemi complessi. La ricerca ha fatto enormi passi avanti nello studio dell’inquinamento da plastica in mare, ma questo non sarebbe stato possibile senza quella cooperazione tra comunità scientifica, associazioni ambientaliste, società civile e mondo produttivo, tutti presenti nella giornata di oggi: con questa visione sarà possibile arrivare a risultati tangibili per la salute dei mari e la vita dei cittadini».

Il professor Francesco Regoli, direttore del Dipartimento di Scienze della Vita dell’Ambiente dell’UnivPm, ha spiegato che gli obiettivi dell’iniziativa sono molteplici, dalla definizione dei livelli di presenza delle platiche in mare, tramite nuovi strumenti di campionamento, e di «continuare con la divulgazione per giungere ad una maggior consapevolezza del pubblico su questo problema che minaccia i nostri mari». A bordo del Bamboo ci sarà infatti un nuovo strumento di campionamento che misurerà la presenza di plastica in mare e negli organismi marini per caratterizzarne la distribuzione «e il loro potenziale di essere trasferita lungo la rete trofica». 

Se da un lato, come ha sottolineato Regoli, «è moto semplice modificare l’ambiente, dall’altro è molto più difficile invertire una tendenza. Da qualche anno ci siamo resi conto dell’alto livello di contaminazione di plastiche e microplastiche nell’ambiente marino e continuiamo a stimare che siano tra le 8 e le 12 milioni di tonnellate i materiali che ogni anno finiscono in mare per una cattiva gestione a terra». Anche se la consapevolezza sul tema è cresciuta in maniera esponenziale, servirà tempo  per giungere ad una riduzione, e i dati mostrano che la frequenza di ingestione di plastica negli organismi marini va dal 10-15% fino al 90% in alcune situazioni, per cui «9 pesci su 10 possono contenere queste particelle».

La professoressa Stefania Gorbi, ricercatrice del Dipartimento di Scienze della Vita e dell’Ambiente, che salperà a bordo della spedizione, ha rimarcato che a bordo della barca a vela viaggerà anche una «strumentazione avanzata» che eseguirà anche campionamenti di aria e non solo di acqua di mare. La dottoressa Francesca Garaventa, dell’Ias Cnr, ha ribadito che si tratta di «tecnologie uniche in Italia».

Giuseppe Ungherese, responsabile della campagna Inquinamento di Greenpeace Italia

La missione è la prima che avviene nel Mare Adriatico, un mare «poco investigato», come ha sottolineato il responsabile della campagna Inquinamento di Greenpeace Italia, Giuseppe Ungherese, che ha evidenziato la necessità di raccogliere dati dal momento che «le indicazione ci dicono che di plastiche ne produrremo sempre di più, con una triplicazione dei volumi di produzione mondiale entro il 2050. Se già oggi i mari soffocano, il problema non potrà altro che aggravarsi se questi trend verranno confermati. vogliamo lanciare un messaggio di speranza perché bisogna invertire la rotta».

Secondo Ungherese, occorre intervenire soprattutto sulla plastica monouso che rappresenta circa il 40% della produzione mondiale: bottiglie, packaging alimentare, oggetti di uso comune, che poi riempiono le nostre pattumiere e che nonostante l’impegno nella raccolta differenziata «sono la frazione più difficile da riciclare e che oggi solo una minima parte di quegli oggetti viene riciclata, meno del 50%». 

Il responsabile Greenpeace ha poi rimarcato che negli oceani del Pianeta «si riversa un camion pieno di rifiuti al ritmo di uno al minuto di ogni giorno, numeri spaventosi che dobbiamo contrastare». «I pochi dati scientifici disponibili ci indicano che questa area meridionale dell’Adriatico potrebbe essere particolarmente impattata dalle plastiche, perché c’è un sistema di correnti che gira in senso antiorario e che dai Balcani fluisce verso sud, ricevendo tutti gli apporti che arrivano dai fiumi che sono il principale vettore della plastica in mare, si stima che l’80% di questa plastica che arriva in mare provenga dai fiumi, per questo in questo tratto di mare ci aspettiamo alti livelli di contaminazione».

Ungherese ha quindi affermato: «Vogliamo svelare il lato nascosto dell’industria dei combustibili fossili, colpevole non solo dell’emergenza climatica che danneggia la biodiversità marina, ma anche di incrementare la produzione di plastica per perpetuare il suo business inquinante. Con l’aiuto di gruppi di sub e di comitati locali, mostreremo l’impatto della plastica nel Mar Adriatico, mentre grazie alla collaborazione con gli istituti di ricerca coinvolti nella spedizione raccoglieremo evidenze scientifiche da fornire a enti e aziende per salvare i nostri mari».

Alessandro Nardi, assegnista di ricerca. Alla sua destra il “Torpedo” lo strumento di campionamento

L’assegnista di ricerca di UnivPm Alessandro Nardi, che salperà a bordo del Bamboo, occupandosi del nuovo strumento di campionamento, il “Microplastic pump”, che hanno ribattezzato Torpedo per la somiglianza ad un siluro, ha sottolineato che lo strumento, di cui esistono pochissimi esemplari, è in grado di campionare plastiche di dimensioni piccolissime, fino a 20 micron fino ad una profondità di 40 metri. «Questo ci permette di investigare non solo le plastiche in superficie o nei primi metri di acqua, ma anche più in profondità e di avere un’idea ben dettagliata del destino di una particella presente in mare». Acqua, sedimenti ed organismi, sono gli elementi che verranno analizzati dal “torpedine”. 

Dopo aver studiato il Tirreno negli scorsi anni, la spedizione “Difendiamo il mare” interesserà quest’anno l’Adriatico centro-meridionale, un mare poco studiato dalla comunità scientifica internazionale nonostante la sua importanza a fini turistici e commerciali. Per via della circolazione marina, caratterizzata da una sorta di grande vortice che fluisce in senso antiorario dai Balcani verso l’Italia, e degli importanti apporti fluviali (a partire da quelli del fiume Po), diversi studi stimano che l’inquinamento da plastica potrebbe essere particolarmente rilevante lungo il versante italiano, come mostra anche il rapporto Plastic Litter in the Adriatic Basin diffuso oggi da Greenpeace.

«La plastica che vediamo in mare è solo la punta dell’iceberg di quella presente, perché oltre il 95 per cento di questi materiali è sotto forma di microplastiche, particelle microscopiche, invisibili a occhio nudo, ingerite da tutti gli organismi marini e in grado di indurre effetti subdoli e spesso difficili da diagnosticare – ha aggiunto il professor Regoli – . La collaborazione con Greenpeace e con i ricercatori di IAS-CNR ci ha permesso negli anni scorsi di analizzare casi complessi, come gli effetti della Costa Concordia, della perdita delle ecoballe nel Golfo di Follonica o la situazione alla foce del fiume Sarno, per citarne solo alcuni. Quest’anno ci aspettiamo nuovi e importanti risultati sulla presenza delle plastiche in Adriatico anche grazie a nuovi strumenti e sistemi di analisi che contribuiranno a caratterizzare il rischio delle microplastiche in mare e ad aumentare la consapevolezza pubblica su questa minaccia».

La presentazione è stata conclusa da un video messaggio di Don Antonio Mazzi, fondatore della Comunità Exodus che si occupa del recupero dei tossicodipendenti; ha sottolineato che «con questa esperienza vogliamo dimostrare che l’uomo deve tornare ad amare la natura» e che «difendendo il mare difendiamo noi stessi». Nella sua riflessione Don Mazzi ha evidenziato che la pandemia ha mostrato la necessità di un cambiamento nel modo di vivere» e che l’uomo ha abusato della natura. «Una barca che fino a ieri era utilizzata per liberare dalle dipendenze – ha concluso -, oggi viene impiegata per far capire ai ragazzi che occorre creare nuovo amore», l’amore per la natura.