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“Difficile è stato partire”, Lucia Pavoni racconta il suo Cammino di Santiago – FOTO

Il diario di viaggio di questa straordinaria esperienza è divenuto un libro: «Dentro me c’è il desiderio di ripartire per lo stesso cammino ma questa volta da sola»

Il Cammino di Santiago di Lucia Pavoni
Il Cammino di Santiago di Lucia Pavoni

CHIARAVALLE – Qualcuno una volta ha detto “Le persone non fanno i viaggi, sono i viaggi che fanno le persone”. Una frase che ben rappresenta la parabola di Lucia Pavoni, classe ’67, insegnante di educazione fisica di scuola secondaria di Chiaravalle che la scorsa estate ha deciso di mettersi alla prova sulle vie di Santiago, un’esperienza talmente forte e segnante da diventare un libro uscito da poco (si intitolo “Difficile è stato partire” Ventura edizioni).

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Il Cammino di Santiago, insieme di strade, sentieri e mulattiere che ha ufficialmente inizio a Roncisvalle, sui Pirenei, e che si snoda tra boschi, campi, colline e paesini per la bellezza di 783 km fino alla Cattedrale di Santiago, è molto più di un viaggio; si tratta di un vero e proprio viaggio esperienziale che quasi sempre coincide con un momento importante della propria vita: così è stato per Lucia che, in un grande momento di transizione emotiva, ha deciso di buttare il cuore oltre l’ostacolo e tuffarsi in questa avventura. E così eccola, a percorrere a piedi la distanza che separa i Pirenei dal campus stellae, con uno zaino pieno di attrezzature, ma anche medicinali, speranze, paure e tanta voglia di vivere.

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Come è nata in te l’idea di compiere un’impresa così bella, affascinante ma sicuramente dura?
«Uscivo da un momento veramente difficile della mia vita, non è sufficiente dire difficile, non rende l’idea. Ero in mezzo al mare in tempesta su una minuscola zattera a cui aggrapparmi, le onde erano così alte e forti che a volte sono andata a finire sott’acqua pensando che ormai era finita, ma poi riemergevo e continuavo a combattere con quelle onde, con la tempesta. La disperazione mi assaliva perché non sapevo dove andare, all’orizzonte solo il nulla. Ecco da quella situazione, nel giugno del 2022 iniziavo a vedere un piccolo approdo, una impercettibile spiaggia che mi dava la forza di continuare a combattere per arrivare là. Poi la proposta della futura mia compagna di Cammino Francesca: ”Facciamo il Cammino di Santiago?” Il richiamo di un desiderio che viveva in me dall’età di 20 anni si è riacceso. Questa è la storia da raccontare a chi vede il visibile, per me ce n’è una di storia, quella per chi crede oltre il visibile. Se incontri il Cammino, da un racconto, dalla visione di un film, o altro, ad un certo punto Ti chiama e tu puoi rispondere sì oppure no, io ho risposto sì…»

E’ un’esperienza alla portata di tutti o necessità di una preparazione specifica?
«Ci vuole preparazione? Credo di sì perché comunque è necessario camminare una media di 25 kilometri giornalieri per 30 giorni di seguito (sto parlando del cammino francese quello che parte da Saint Jean Pied de Port fino a Santiago sono 781 km). Io non ho avuto tempo per allenarmi, sono partita con il solo biglietto d’andata consapevole che dopo pochi giorni sarei potuta tornare, perché non ero in grado di proseguire (ora dico che mi è servito un grosso grado di “lasciar andare il controllo” mi sono fatta un gran regalo!). La mia giornata tipo era sveglia alle 6, piccola colazione, camminare fin verso le 9/9.30 circa, colazione con il famoso bocadillo (un panino di circa 30 cm con prosciutto e formaggio), poi continuare a camminare fino alla meta giornaliera. Di solito tra le 12.30 e le 14 arrivavo a destinazione, registrazione nell’albergue, sistemazione del letto, lavaggio degli indumenti, del mio corpo, poi via a pranzare. Dopo il pranzo era molto importante per me far riposare il corpo, quindi pisolino fin verso le 17, a quel punto iniziava la visita del nuovo luogo, le chiacchiere con gli altri, la preparazione della cena comunitaria, la celebrazione della messa del pellegrino, cena semplice nei vari punti ristoro o nell’albergue insieme agli altri pellegrini. I pellegrini per le 22 circa erano tutti a letto, io non riuscivo ad addormentarmi, avevo bisogno di riassaporare tutto ciò che avevo vissuto nell’arco della giornata e il modo migliore che ho trovato è stato quello di scrivere il mio diario su fb aggiungendo puntualmente tutte le foto scattate nella giornata. Così le immagini, i pensieri, le emozioni sono diventate indelebili tanto è vero che le ho raccolte in un libro che ho appena pubblicato “Difficile è stato partire”.»

Raccontaci tre momenti (positivi o negativi) di questa avventura che porterai sempre con te.
«Mmm…difficile perché sono tanti, tantissimi. Inizio da un evento negativo, almeno lo è stato per me. Era forse il terzo o quarto giorno, camminavamo io e Francesca in questa stradina bianca battuta che tagliava un immenso campo di bellissimi girasoli fioriti illuminati da un radioso sole posto in un nitidissimo cielo azzurro. Incontriamo Vulcan, un ragazzo turco che per la terza volta percorreva il Cammino. Francesca inizia a parlare e la conversazione tra i due inizia a farsi appassionata e fluente. Che rabbia! Il mio poverissimo inglese non era assolutamente capace di reggere quello scambio. Mi sono arrabbiata, non riuscivo ad accettare questo limite personale, perché avevo ipotizzato che mi avrebbe precluso un’infinità di incontri possibili! La mancata conoscenza di una lingua comunitaria è stato per me un grosso ostacolo, ho dovuto impegnarmi per riuscire ad accettare questo mio limite e fare in modo che la rabbia non mi prevaricasse. Poi (la Provvidenza è sempre dietro l’angolo) dopo circa una mezz’ora di cammino, mentre ancora lottavo arrabbiata con il mio limite, siamo arrivate in un piccolo centro abitato. C’era un folto gruppo di giovani ragazzi e ragazze con spartiti in mano, mi accorgo che si stavano dirigendo verso una chiesa, li abbiamo seguiti: ho ascoltato un brano a 8 voci eseguito dalla corale di una università musicale americana. Per 7 minuti sono stata in Paradiso, pelle d’oca che non se ne voleva andare… il sole dentro di me è tornato a brillare. Ecco questo è sicuramente un momento che non dimenticherò mai! Ora scelgo tra i tanti di raccontarti questo episodio: camminavo da ore nei campi di grano arati delle Mesetas, il tratto più difficile da percorrere perché si tratta di un altopiano di circa 800 m completamente coltivato a grano. A luglio il grano è tagliato pertanto per ore e ore di cammino vedi solo il giallo oro del grano e l’azzurro limpido del cielo e questo sole che illumina, abbaglia. La temperatura sale e facilmente raggiunge i 40/42 gradi. Erano le 13, camminavo sola con l’acqua bollente nella bottiglietta, non dico bollente tanto per dire, scottava, punto! Ero sola perché Francesca aveva un passo diverso dal mio, lei era dietro, secondo me stava faticando più di me e questo mi preoccupava perché io avevo la forza solo di andare avanti e non potevo aspettarla, e se si fosse sentita male? Ogni tanto mi giravo, mi fermavo per vedere se riuscivo a scorgere quel cappello viola che la distingueva, ma niente, allora provavo a rallentare, mi voltavo ancora, ma niente. Ad un certo punto avanti a me, laggiù lontano, all’orizzonte mi sembrava di scorgere un puntino rosso che andava via, via ingrandendosi. È arrivata la camionetta della protezione civile con volontari a bordo che mi hanno offerto una bottiglietta d’acqua fresca e mi hanno assicurato che avrebbero controllato dietro di me che tutti i pellegrini stessero bene. Ok potevo proseguire, Franci era al sicuro».

Cosa ha rappresentato per te questo viaggio?
«È la mia power bank, non ha rappresentato, lo rappresenta anche adesso. Ogni qual volta che ho un momento difficile, un’ostacolo da superare, un momento in cui perdo un pò di fiducia nella vita, trovo un angolo intimo della mia casa e torno con la mente e con il cuore a quella strada, a quegli incontri, a quei paesaggi e a tutto ciò che ho imparato là: fiducia nella Vita perché c’è un progetto per noi, dobbiamo solo far fluire. La vera salvezza dell’Umanità risiede nel Bene Comune. Incontrare gli altri rende la nostra vita meravigliosa. Svegliarsi la mattina con la curiosità di ciò che accadrà».

Da questa avventura è nato anche un libro: raccontaci anche la tua avventura editoriale.
«Ho spiegato prima come è nato il libro, ma la realizzazione è avvenuta grazie alla caparbietà di un mio carissimo amico. Gigi ha insistito così tanto che alla fine ho ceduto e gli ho detto: io scrivo il libro a patto che tu mi sorregga e mi guidi in questo percorso. Così è stato. Altro momento “capitato per caso” ma per me il “caso” non esiste, è stato l’incontro con un amico supplente nella mia scuola Francesco Bettini. Tra le nostre chiacchiere vengo a sapere che lui scrive libri e che è seguito dalla casa editrice Ventura. Mi propone di chiamare e di presentare il mio lavoro. Titubante ma ormai determinata ad arrivare alla conclusione del progetto, chiamo la signora Catia Ventura proprietaria della casa editrice. Catia dopo avermi ascoltata e dopo aver letto il libro mi ha detto: perché no? Stampiamo!»

Si dice che ci si ammala di “Cammino”: ovvero, in molti, vogliono tornare a ripercorrere le strade
di Santiago…è anche il tuo caso? Pensi di rifarlo
?
«Parlo continuamente del Cammino, vive in me. Conosco tantissime persone che lo hanno percorso più di una volta, che hanno percorso più cammini, sì ci si può ammalare, chi non vorrebbe vivere sempre nella versione migliore di noi stessi? Dentro me c’è il desiderio di ripartire per lo stesso cammino ma questa volta da sola! Mi sono lanciata una grande sfida! Vedremo cosa la Vita mi riserverà io sono qua con orecchi, occhi e braccia aperte».