ANCONA – «I giovani nelle piazze che fanno sfide e si picchiano sono alimentati via internet e la dinamica funge da sfogo, ma anche da sistema identitario che serve al giovane per sentire di avere narcisisticamente un futuro e il controllo su esso». Lo sostiene la psicoterapeuta dell’età evolutiva Francesca Mancia.
In occasione dell’apertura dell’anno giudiziario nelle Marche, il procuratore generale della Corte d’appello di Ancona, Luigi Ortenzi, in uno dei passaggi del suo discorso aveva evidenziato che «il protrarsi della pandemia ha accentuato le problematiche legate al disagio giovanile».
Secondo il pg, anche alla luce dei recenti episodi che avevano visto adolescenti e ragazzi protagonisti di aggressioni e risse, «serve un rinnovato impegno da parte di tutte le istituzioni nell’azione di prevenzione e di educazione al fine di indurre i giovani ad assumere un comportamento corretto e consapevole».
«L’analisi dei risultati dell’attività di prevenzione – aveva detto il procuratore -, con riguardo alla natura dei reati e ai soggetti interessati, ha consentito di constatare che i comportamenti rilevati sono stati prevalentemente occasionali o per lo più dovuti alla aggregazione di un certo numero di individui, ma non hanno assunto il carattere di criminalità minorile specifica».
Inoltre aveva sottolineato che «il superamento» di queste problematiche «dipende non solo dalla prevenzione e conseguente repressione, ma anche e soprattutto dal rinnovato impegno da parte di tutte le istituzioni nell’azione di prevenzione e di educazione».
Un tema sul quale la psicoterapeuta Mancia interviene, spiegando che «i giovani mostrano il loro disagio con la ripetizione di fasi di quarantena e anche a seguito del riavvio delle libere frequentazioni. L’isolamento, evidentemente, e la sfiducia verso un futuro sano e godibile slatentizzano rabbia e desiderio di rivendicazione. Gli adulti sono meno in grado di dare certezze e proporre un assetto di tolleranza alla frustrazione. Le istituzioni erogano interventi in emergenza ed a tratti in allarme che esplicitano ansie generalizzate nei bambini e negli adolescenti».
«La guerra» tra bande, aggiunge, «viene lanciata nei social, ha in genere motivazioni arcaiche ed a questa dinamica gruppale segue un comportamento di tipo regressivo e punitivo che sembrava ormai superato». Insomma le bande rappresentano «esiti post traumatici plurimi: una regressione a forme di organizzazione antiche, bande con fazioni che si fronteggiano per motivi di controllo per lo più fondati su denaro e potere sui deboli. Forme che vedevamo in zone periferiche, in tempi trascorsi».
Tuttavia secondo la psicoterapeuta, psicoanalista Spi (Società Psicoanalitica Italiana) e psicoterapeuta infantile Tavistock al Centro Ricerche di Psicoanalisi di Gruppo di Ancona, il disagio giovanile è «preesistente alla pandemia». «In questo momento – prosegue – sono saltati anche i sistemi di investimento sulla salute mentale che andrebbero invece non tanto gestiti come bonus ma organizzati in sistemi di ricerca e di intervento sulla gioventù. In questo modo potrebbe essere avviata un’azione che funge da prevenzione».
In un contesto di questo tipo i giovani immigrati hanno subito ancora di più i risvolti negativi. «Nella pandemia sono sfuggiti i disagi dei giovani di seconda e terza generazione nella immigrazione – spiega -. Ciò perché abbiamo registrato un atteggiamento di chiusura in casa delle famiglie extracomunitarie per difesa culturale e sociale. Nell’isolamento è saltato il sistema di ancoraggio alla cultura del nostro Paese e sono ripresi i comportamenti di tipo aggressivo e reattivo rivendicativo».
Per la dottoressa Mancia, «la grande responsabilità di adulti ed istituzioni è di smettere di parlare alla pancia della gente. Di avviare una collaborazione e un pensiero comune che restauri».