ANCONA – Nelle imprese come nel mondo del lavoro pubblico o privato le donne hanno meno chance e incontrano maggiori difficoltà dei colleghi uomini, il post pandemia, però, con i fondi del Pnrr potrebbe rappresentare una chiave di volta, a patto che il sistema di welfare, di formazione e di accesso al mondo del lavoro siano rivoluzionati. Ne è convinta Rossella Marinucci, componente della segreteria regionale della Cgil.
Guardando al dato dell’imprenditoria, alla data del 31 dicembre 2021 nelle Marche le imprese femminili erano 38.291 su 165.443 complessivamente registrate, ovvero un 23,1% (dato Camera di Commercio delle Marche), intendendo per “Imprese femminili” quelle partecipate in prevalenza da donne.
«Nelle Marche ci sono tante aziende di successo, di grandi e piccole dimensioni, guidate da donne così come ci sono tante donne in ruoli di direzione nelle pubbliche amministrazioni – osserva Daniela Barbaresi, segretaria generale Cgil e componente della direzione nazionale -. Tuttavia sono ancora tante le difficoltà delle donne a raggiungere ruoli apicali nel mondo del lavoro; donne che continuano a misurarsi con vecchie e nuove diseguaglianze accresciute con le crisi e anche la pandemia. Si pensi al tasso di occupazione femminile che si ferma al 56,7% nettamente al di sotto di quello maschile (73,9%) o alla maggior incidenza per le donne della precarietà o del lavoro part time, spesso involontario, tanto che solo una lavoratrice dipendente su tre può contare su un lavoro a tempo pieno e indeterminato. Condizioni di lavoro che si riflettono sulle retribuzioni con le donne che complessivamente percepiscono retribuzioni medie inferiori del 32% rispetto agli uomini. Diseguaglianze che vanno superate perché non le competenze, le energie e il valore delle donne sono una ricchezza che non può essere dispersa».
La pandemia è stata un banco di prova per l’occupazione femminile in Italia. A pagare il prezzo più alto legato alle chiusure e al cambio di abitudini sono state soprattutto le donne, che già prima del Covid scontavano un gender gap sul fronte occupazionale, che retribuzioni minori e part time involontario. Rossella Marinucci osserva che l’occupazione femminile si rivolge prevalentemente a determinati settori, ovvero «quelli della sanità. dell’istruzione, dei servizi e della vendita al dettaglio, settori in cui la pandemia ha avuto l’impatto più pesante». Ma anche sul fronte dell’imprenditoria al femminile, «settore dove spesso si investe perché consente una maggiore flessibilità, le donne faticano maggiormente rispetto agli uomini per accedere al credito».
Secondo la sindacalista per cambiare davvero passo, occorre «smettere di parlare di conciliazione, tra lavoro e famiglia, e iniziare a parlare di condivisione. Serve una struttura pubblica che fornisca assistenza sul fronte dei figli, dei disabili e degli anziani non autosufficienti per evitare che le donne siano costrette ad accettare una occupazione di scarsa qualità. precaria, vicino a casa e con orario flessibile, quella meno pagata in assoluto e con minori diritti».
Disuguaglianze da combattere. Ma come? Marinucci fa notare che nel post pandemia c’è stata una ripresa, ma «senza nuova occupazione». A crescere è stata soprattutto l’edilizia, un settore dove le donne non hanno solitamente grandi sbocchi occupazionali. «Occorre guardare a settori nuovi, come quelli aperti dai fondi del Pnrr (piano nazionale di ripresa e resilienza) e non solo, nell’ambito della transizione ecologica e digitale. Il Pnrr si propone proprio di contrastare il gender gap. Lo smart working può essere una opportunità, se non viene ridotto a telelavoro».
Secondo la sindacalista il lavoro agile, «se è vero smart working, ovvero con libertà di orari e lavoro per obiettivi, può essere un valido strumento per contrastare le discriminazioni, ed è stato apprezzato dalle donne durante la pandemia». Inoltre occorre orientare sempre di più le donne verso «lo studio delle materie tecniche specialistiche che possano consentire una migliore e immediata occupazione. Occorre interrompere quel circolo vizioso che porta molte donne ad un anno dalla maternità a rinunciare al lavoro per accudire i figli: nelle Marche sono state un migliaio. Per garantire una parità occupazionale e imprenditoriale alle donne, bisogna smantellare l’attuale sistema: garantire servizi per l’accudimento di figli minori, disabili e anziani non autosufficienti».