Ancona-Osimo

Competitività, Mingarelli di Confindustria Ancona: «Modernizzare filiere e settori strategici per attrarre investimenti e tecnologie»

Il presidente di Confindustria Ancona traccia un quadro sulle previsioni economiche per il 2025 e affronta i temi della competitività e dei talenti, cruciali per le imprese

Diego Mingarelli, nuovo presidente di Confindustria Ancona
Diego Mingarelli, nuovo presidente di Confindustria Ancona

ANCONA – «I dati del nostro Centro Studi evidenziano un anno in salita». A tracciare un quadro sulle previsioni economiche per il 2025 è il presidente di Confindustria Ancona, Diego Mingarelli. «C’è preoccupazione per alcuni settori trainanti dell’industria anconetana – spiega -, come metalmeccanico, elettrodomestici e automotive. In particolare, quest’ultimo sta attraversando in un periodo di difficoltà, aggravato dall’impatto di alcune scelte poco chiare dell’Unione europea».

Confindustria Ancona ha mappato il settore nella provincia ed «è emersa la fotografia di un comparto che conta circa 90 aziende, prevalentemente piccole imprese che fatturano meno di 10 milioni, ma che complessivamente sviluppano 1,7 miliardi di euro di fatturato. E abbiamo aperto un tavolo di lavoro per realizzare un Cluster Territoriale d’Eccellenza che faccia evolvere le aziende verso una maggiore conoscenza del settore e delle sue trasformazioni di breve e lungo periodo, promuovendo anche sinergie tra aziende della filiera – spiega -. È un modus operandi che caratterizzerà la mia presidenza: progetti concreti a beneficio delle imprese. Volontà, sinergia e concretezza, queste le parole chiave del mio mandato, condivise con una squadra di alto profilo, nell’ottica di una presidenza con forti elementi di collegialità».

Come favorire la competitività delle imprese?
«In occasione dell’Assemblea pubblica di Confindustria Ancona abbiamo lanciato un claim: attrarre per competere, competere per attrarre. Siamo convinti che i concetti di attrattività e competitività siano strettamente legati tra loro: un territorio attraente per i talenti e per gli investitori diventa competitivo, innescando un circolo virtuoso, accrescendo la propria capacità anche di eccellere sui mercati internazionali. Dobbiamo mettere in campo politiche industriali in grado di modernizzare le nostre filiere e i settori strategici, attirando nuovi investimenti e tecnologie. Saremo in prima linea nella difesa di settori strategici e a sostegno della capacità manifatturiera delle nostre imprese, che vanno accompagnate verso nuove sfide, supportandone il riposizionamento strategico. In sintesi: invertiamo la rotta e puntiamo a una nuova attrattività basata su tre T: territorio, tecnologie, talenti».

A proposito di talenti: come si fa contrastare la fuga dei giovani?
«Dobbiamo essere un ecosistema capace di trattenere le risorse migliori, di far tornare a casa i giovani che hanno deciso di andare in altre regioni o all’estero e di attrarre talenti che possano rafforzare il tessuto economico sociale del nostro territorio. Il nostro impegno deve essere quello di creare le condizioni affinché i giovani possano vedere nel nostro territorio non solo una possibilità lavorativa, ma un ambiente stimolante, accessibile, facilmente raggiungibile, ricco di opportunità e di crescita. Dobbiamo investire affinché le nuove generazioni trovino qui la loro realizzazione professionale e personale. Per questo abbiamo il compito di rendere attrattive anche le nostre imprese, aprendo le porte ai giovani, diffondendo la conoscenza della realtà produttiva, valorizzando l’orgoglio e l’impegno quotidiano delle persone incarnano i valori dell’imprenditorialità e del lavoro. Ne parlavo qualche giorno fa a una platea di ragazzi del liceo classico di Fabriano. Anche a loro ho ricordato che nel nostro territorio il sistema delle imprese è la nostra forza e rappresenta una reale e concreta opportunità per chi vuole restare su questo territorio».

Avete incontrato di recente il rettore della Politecnica delle Marche: quali progetti avete in mente?
«Insieme alle vicepresidenti Roberta Fileni e Annalaura Perini abbiamo avuto un proficuo incontro con Gianluca Gregori, in cui, fra l’altro si è parlato proprio della necessità di individuare strumenti condivisi per attrarre nuovi talenti e per favorire il rientro di quanti hanno lasciato il territorio. Ma con il Rettore stiamo lavorando su un progetto per riconoscere il Family Business come disciplina di studio alla Politecnica delle Marche».

A tale proposito pensa che l’imprenditoria a conduzione familiare oggi rappresenti una risorsa, una garanzia in più per la continuità delle aziende?
«Il tema è sicuramente al centro del nostro programma e il progetto con la Politecnica ne è la dimostrazione. Le imprese familiari sono un patrimonio prezioso, e incarnano quella manifattura diffusa che è stata la fortuna del nostro territorio e che ha saputo competere ed eccellere, portando il made in Italy in ogni angolo del mondo. Le imprese familiari esemplificano il paradosso del calabrone, una creatura che vola violando ogni legge della fisica eppure continua spontaneamente a farlo. Ciò che rende speciali le nostre imprese familiari contro ogni scienza economica ha un nome: genius loci, è il rapporto profondo, esistenziale, viscerale che abbiamo con la nostra terra, l’elemento immateriale che non ci fa immaginare altrove la nostra impresa e la nostra imprenditorialità».

E le grandi aziende allora? In particolare, la presenza delle multinazionali, rappresenta una risorsa o un rischio per l’economia locale?
«Il nostro tessuto produttivo poggia su due gambe; la prima è indubbiamente la manifattura diffusa, costituita da una moltitudine di PMI d’eccellenza affiancata da alcune grandi imprese di successo che vanno sostenute e stimolate a comprendere le buone ragioni della “restanza”. Questo dualismo di esperienze imprenditoriali e industriali è necessario per dare spinta propulsiva al sistema produttivo, per favorire ricerca ed evoluzione tecnologica e tenere vivo l’ecosistema dell’attrattività e delle filiere innovative. Non abbiamo molti strumenti per influenzare le scelte delle multinazionali, ma possiamo fare molto per ridurre gli impatti delle ristrutturazioni sui lavoratori, attraverso una “rivoluzione” delle competenze che è al centro della nostra visione. È fondamentale investire nella formazione delle persone e dei collaboratori: chi oggi si trova a fronteggiare la perdita di un impiego deve avere le risorse per reinventarsi, per acquisire nuove competenze e rispondere alle esigenze di un mercato del lavoro in continuo cambiamento. Abbiamo il dovere di accompagnare la nostra forza lavoro in questo processo di trasformazione, con programmi di aggiornamento, riqualificazione e formazione continua che preparino a un mondo del lavoro diverso, ma altrettanto ricco di opportunità».