Ancona-Osimo

Giovani in fuga, Cardinali di Confindustria Marche: «Occorre educarli alle opportunità di carriera interessanti che ci sono da noi»

Ad emigrare all'estero sono soprattutto giovani laureati o diplomati o che non hanno finito gli studi. La fotografia è stata scattata dalla Fondazione Nord Est

Roberto Cardinali, presidente Confindustria Marche

In poco più di un decennio in Italia 550 mila giovani tra 18 e 34 anni sono emigrati all’estero. Il dato emerge dal rapporto “I giovani e la scelta di trasferirsi all’estero”, realizzato dalla Fondazione Nord Est. Secondo la fotografia scattata l’Italia si piazza all’ultimo posto in Europa per attrazione di giovani. Un fenomeno che viene definito come una nuova emigrazione di italiani, simile per dimensioni a quelle avvenute in passato, anche se molto diversa per luoghi d’origine e tipologia di persone.

Ad emigrare infatti sono soprattutto giovani laureati o diplomati o che non hanno finito gli studi. Il 73,3% dei giovani che hanno deciso di andare per scelta all’estero svolge attività intellettuali o impiegatizie, mentre per quanto riguarda i giovani che si sono trasferiti per necessità il 58,2% ricopre posizioni carenti in Italia, come tecnici, professioni qualificate nei servizi, operai specializzati e semi-specializzati, personale senza qualifica.

In una regione come le Marche, demograficamente vecchia e con molte aziende nate a metà degli anni ’90, qual è il rischio conseguente a questa fuga? «Certamente c’è il tema del ricambio generazionale che coinvolge non solo gli imprenditori, ma tutte le figure presenti in azienda, tante professionalità che hanno contribuito alla crescita dell’impresa e che oggi sono vicine alle pensione» spiega Roberto Cardinali, presidente di Confindustria Marche.

Un nodo, quello dell’attrattività dei giovani che decidono di andare all’estero o in altre regioni, che va affrontato «a 360 gradi – prosegue -: quando si sceglie un’impresa dove lavorare si sceglie anche il territorio. Un giovane che decide di andare all’estero non cerca solo un’azienda dove lavorare, ma anche un territorio che possa offrire uno stile di vita che sia soddisfacente rispetto alle sue aspettative».
A pesare sul piatto della bilancia è anche il ‘grado’ di connessione del territorio, inteso come infrastrutture materiali e immateriali (trasporti e connettività). Un giovane che si trasferisce per lavoro fuori regione e che magari il fine settimana desidera rientare a casa tenderà a scegliere un territorio ben collegato in termini di trasporto pubblico (rete ferroviaria, voli, rete viaria e altri collegamenti).

«C’è una forte criticità ad individuare figure tecniche a causa del mismatch (disallineamento, ndr) tra domanda e offerta di lavoro» prosegue, spiegando che per tornare ad essere attrattivi verso i giovani occorre innalzare il livello di «conoscenza delle opportunità offerte dal mondo produttivo. Le aziende sono cambiate rispetto al passato – spiega – hanno fatto importanti investimenti tecnologici e hanno innovato», un cambiamento che però va fatto percepire anche fuori dai cancelli delle aziende.
Secondo il presidente degli industriali marchigiani «serve un lavoro educativo, sulle opportunità di lavoro nelle imprese, che va fatto con le scuole: le aziende – dice – consentono percorsi di carriera molto interessanti per i giovani, anche nelle aziende di piccole dimensioni».

L’approccio dei giovani al lavoro come è cambiato? Conta meno lo stipendio e più il welfare aziendale? «Il mondo del lavoro è cambiato molto negli ultimi anni, le valutazioni sull’azienda vengono fatte in maniera diversa: l’attrattività non è data solo dallo stipendio e dalla carriera, oggi contano anche il clima aziendale, il contesto in cui opera l’impresa e la filosofia aziendale. C’è una sensibilità diversa e una maggiore attenzione all’organizzazione del lavoro e alla gestione del personale, elementi che con il passare degli anni stanno acquisendo un maggior peso. Per questo dobbiamo approcciare le nuove risorse in maniera diversa rispetto al passato».