Calano ancora i tassi di interesse sui nuovi mutui per effetto del taglio di interesse operato dalla Banca Centrale Europea. Una sforbiciata che si fa sentire soprattutto sui mutui per l’acquisto della casa. Stando ai dati dell’ultimo bollettino mensile dell’Abi il tasso medio sulle nuove operazioni per acquisto di abitazioni è diminuito, attestandosi al 3,10% (a novembre 2024 era al 3,23% e a dicembre 2023 al 4,42%).
Si conferma stabile il tasso medio sulle nuove operazioni di finanziamento alle imprese in calo di oltre un punto percentuale rispetto al 5,45% di dicembre 2023. A scendere è anche il tasso medio sul totale dei prestiti che passa al 4,45% dal 4,55% del mese precedente. Nonostante il calo però il rallentamento della crescita causa una contrazione della domanda di prestiti e mutui da parte delle famiglie e delle imprese.
«La dinamica dei tassi di interesse subisce delle variazioni continue nel corso del tempo, i tassi cambiano continuamente in funzione dell’andamento dell’economia e delle politiche monetarie della Banca centrale che ha il compito di tenere l’inflazione sotto controllo», spiega il professor Davide Ticchi, docente di Economia Politica all’Università Politecnica delle Marche.
È il momento giusto per chiedere un prestito o conviene aspettare ancora?
«In questa fase storica i tassi sono un po’ più alti che in passato, a causa degli aumenti operati dalla Banca Centrale Europea per ridurre l’inflazione che negli ultimi anni è stata molto elevata. Tuttavia, se una persona decide di prendere un prestito per l’acquisto della casa con una durata, ad esempio, ventennale deve essere consapevole che da qui ai prossimi vent’anni la situazione può cambiare continuamente. Quindi, l’impatto di un maggior o minor tasso di interesse pagato in un anno non dovrebbe essere un elemento di particolare rilevanza nella decisione di un acquisto così importante. Per chi si accinge a fare una scelta finanziaria così significativa è forse più utile cercare di avere condizioni economiche stabili e dei risparmi che consentano di far fronte a oscillazioni del tasso di interesse».
Meglio il tasso fisso o variabile, anche in previsione di nuovi tagli?
«Il tasso fisso si basa su una previsione dei tassi di lungo periodo e tende ad essere, in media, un po’ più alto rispetto al tasso variabile. Qualche anno fa quando i tassi di interesse erano vicini allo zero, il tasso fisso era un’opzione molto conveniente perché combinava un tasso d’interesse contenuto e la riduzione dei rischi legati all’aumento dei tassi. Oggi non è più così e forse il tasso di interesse variabile è più attrattivo di quello fisso viste anche le aspettative di riduzione dei tassi di interesse. Tuttavia, molto dipende anche dalle situazioni e aspettative individuali».
Cosa ci dobbiamo attendere nel 2025? Si può dire che il peggio sia passato?
«Tutto dipende da come evolverà la situazione economica: se l’inflazione continuerà a rimanere sotto controllo riducendosi di qualche decimale tornando vicino al target del 2%, la Bce potrebbe continuare a operare nuovi tagli ai tassi di interesse. Qualora invece ci fossero nuovi shock che spingono verso l’alto inflazione, come ad esempio conflitti di tipo militare che generalmente portano a un aumento del prezzo dei prodotti energetici o conflitti commerciali con aumenti di dazi e tariffe, allora la discesa dei tassi di interesse potrebbe essere meno scontata o quantomeno più lenta. In ogni caso, molto dipenderà anche dall’andamento dell’economia perché, oltre all’inflazione, una crescita bassa del Pil nell’Eurozona potrebbe spingere la Bce ad accelerare la riduzione dei tassi di interesse. È uno scenario questo che non escluderei affatto».
La tregua tra Israele e Hamas, che in qualche modo può contribuire a stabilizzare la crisi in Medio Oriente, può avere effetti positivi sulla dinamica dei tassi?
«Tutto quello che in qualche modo contribuisce a rendere il Medio Oriente una regione più stabile da un punto di vista geopolitico è sicuramente utile, soprattutto perché contribuisce a ridurre il rischio di aumenti del prezzo dei prodotti petroliferi che, a loro volta, hanno un impatto sulla dinamica dei prezzi di tanti altri prodotti. Tuttavia, negli ultimi due anni il prezzo del petrolio è rimasto relativamente stabile e non vedo oggi ragioni particolari per cui questo possa cambiare nel breve periodo, salvo sempre che non si arrivi a nuovi conflitti importanti in giro per il mondo, cosa che speriamo ovviamente di evitare anche per altre ragioni».