ANCONA – Il telefono squilla, ma scatta la segreteria. Riproviamo dopo qualche minuto, ma niente. Poi, ecco che chiama lui, Enzo Gragnaniello, uno dei più grandi cantanti che ha portato Napoli in Italia e nel mondo. Il celebre cantautore e chitarrista napoletano salirà stasera sul palco anconetano, alla Mole Vanvitelliana, in occasione della 17esima edizione del festival Adriatico Mediterraneo. Appuntamento alle 21.15, alla corte della Mole, per ascoltare i più grandi successi del 68enne partenopeo, che racconterà la sua Napoli, quella più autentica e vera.
Nel concerto, ed ancor più in tutta la musica di Gragnaniello, sono racchiusi tanti temi e riflessioni diverse: dal razzismo visto come una larva che si annida nelle menti delle persone, alla lontananza di chi lascia la propria terra per lavoro, alla sofferenza delle donne abbandonate e sole, al bene che non rispettiamo e a cui chiudiamo la porta, al tema di introspezione, all’invito infine ad imparare ad amare, se stessi e il prossimo.
Un live unico, intimo ma allo stesso tempo dirompente, un viaggio nelle sonorità puramente mediterranee riproposte da un artista legato visceralmente alla sua Napoli.
Una vita dedicata alla musica, quella del maestro Gragnaniello, che ha sfornato successi per i più grandi pilastri del cantautorato italiano: da Ornella Vanoni e Adriano Celentano ad Andrea Bocelli, passando – ovviamente – per Mia Martini e Roberto Murolo, con ˈCu’mmeˈ. «Di Mimì mi manca tutto, era divertentissima», dice.
Maestro Gragnaniello, andiamo con ordine: è la prima volta ad Adriatico Mediterraneo?
«Sì, ma le Marche le conosco bene».
Davvero?
«Sì, le ho girate spesso. Non ricordo tutti i posti in cui sono stato, ma ci sono stato».
E Ancona?
«Qui, è la prima volta».
Senta, AdMed è un festival di incontri, di popoli, di cultura e di mare. Cos’è per lei il mare?
«Beh, il mare è un punto di riferimento per contemplare la vita. Io abito a 150 metri dal mare e ogni mattina scendo a fare due passi in spiaggia Il mare è la profondità, c’è spesso il mare nelle mie canzoni».
Non anticipi le mie domande, maestro…
«Va bene, scusi (ride, ndr)».
Stavo per chiederle proprio questo. Sia in ˈCu’mmeˈ (scritta da lei per Mia Martini e Roberto Murolo) sia in ˈLo chiamavan vient’e terraˈ, lei parla del mare…
«In ˈCu’mmeˈ scrivo che se tu non scendi in fondo, in profondità, non puoi capire come stanno davvero le cose. Insomma, devi toccare il fondo, il mare è un momento di ispirazione».
E lei, maestro, ha mai toccato il fondo nella sua vita?
«Ascolti, io abito ai Quartieri Spagnoli, a Napoli. Se nasci qui, il fondo lo tocchi da quando sei piccolo».
A cosa si riferisce?
«Voglio dire che ho conosciuto il dolore della vita. Poi, però, quando tocchi il fondo puoi solo risalire. Insomma, io sono nato nelle vie del centro storico di Napoli ed è una grandissima scuola di vita».
Lei non ha mai lasciato Napoli, neanche dopo il grande successo…
«Io non vivo per il successo, ma per comunicare cose ed emozioni. Io ho il dono di creare, prima facevo le lotte politiche, facevo musica, canzoni e slogan per disoccupati».
Cosa vuole dire?
«Che il successo è solo una conseguenza di un dono artistico. È come avere una luce interiore che ti fa vedere la strada. E il vero successo, a quel punto, qual è?».
Non so, me lo dica lei…
«È dare agli altri delle emozioni. A me, non interessa sentirmi realizzato».
Ora le svelo una cosa…
«Prego…».
Lo sa che Mia Martini ha vissuto ad Ancona?
«Sì, è una bella coincidenza, c’è dell’invisibile. È un cerchio che si chiude. Eravamo amici fraterni, con lei».
Cosa le manca di Mimì?
«La sua presenza, la sua risata, le sue battute serie ma scherzose. Era una persona divertentissima, al contrario di ciò che si diceva».
Qual è il segreto per scrivere la canzone perfetta?
«(ride, ndr) Non bisogna mai pensare a ciò che si va a scrivere. Io non penso alla canzone da scrivere. Mi limito a mettere su carta ciò che sento, colgo l’ispirazione. Nessuna storia da raccontare, non canto che ˈ2+2 fa 4ˈ. Le mie canzoni hanno tutte un simbolismo, ma io me ne sono accorto dopo».
In che senso?
«Non pensavo di avere questo talento. Sa cosa diceva mio padre?».
Cosa diceva?
«‘E canzon? Tu ‘e scriv, tu ‘e cant, tu ‘e son e tu ‘e sientˈ».
Traduca, per favore…
«(sorride, ndr) ˈLe canzoni? Tu le scrivi, tu le canti, tu le suoni e tu le sentiˈ. Nemmeno mio padre riusciva a capire ciò che scrivevo».
Ma dai…
«Giuro. Sa cos’è? Che la musica va fatta per lo spirito delle persone, non per l’involucro. Quando si fa musica, bisogna avere rispetto, perché è potentissima. Può anche curarle, le persone, bisogna stare attenti».
Torniamo a quando mi diceva di aver toccato il fondo: la musica l’ha salvata?
«Certo che sì. Sembra sia la solita stronz***a che si dice, la solita frase retorica, però è proprio così. La musica mi ha sempre guidato, devo dirlo. Ma io sono stato bravo a farmi guidare da quelle emozioni».