ANCONA – In Europa le donne guadagnano in media ancora il 16,2% in meno rispetto ai loro colleghi maschi: dunque, è come se dal 3 novembre a fine anno le donne lavorassero gratis. Anche in Italia, nonostante siano passati oltre 40 anni dalla legge 903/77 sulla parità tra uomini e donne sul lavoro, le diseguaglianze di genere ci sono: nei livelli di inquadramento, nei percorsi di avanzamento di carriera e soprattutto nelle retribuzioni.
Ma cosa succede nelle Marche? Le lavoratrici marchigiane, oltre ad avere retribuzioni piuttosto inferiori alla media nazionale (1.700 euro lordi annui in meno), percepiscono in media 7.100 euro lordi annui meno degli uomini. Le retribuzioni medie lorde annue percepite nelle Marche sono pari a 19.422 euro ma sono significative le differenze retributive di genere: le retribuzioni medie lorde annue dei lavoratori ammontano a 22.583 euro, a fronte dei 15.454 euro delle lavoratrici: quest’ultime, dunque percepiscono 7.129 euro meno dei loro colleghi maschi, pari a -31,6%.
Naturalmente queste differenze sono condizionate anche dalla maggior utilizzo per le lavoratrici del part time, spesso involontario, piuttosto che dei contratti a termine, cosi come una maggior presenza di donne nei lavori e settori più poveri.
Tuttavia, l’incidenza di contratti precari o a tempo parziale giustifica solo in parte il divario retributivo tra maschi e femmine; basti osservare il fatto che le lavoratrici con contratto a tempo pieno e indeterminato percepiscono 4.849 euro lordi annui in meno dei loro colleghi maschi, pari a -17,3%.
Osservando la qualifiche professionali, emergono notevoli differenze: le retribuzioni delle operaie è di 6.612 euro lordi anni in meno rispetto a quelle degli operai (-35,6%), quelle delle impiegate è di 10.867 euro (-36,5%), quelle delle lavoratrici con qualifica di quadro sono di 9.626 euro in meno (-15,3%, fino ad arrivare a una differenza di 35.194 euro lordi annui per le dirigenti (-25,9%).
Secondo Daniela Barbaresi, segretaria generale della Cgil Marche, «il principale strumento è quello della contrattazione che può e deve superare le diseguaglianze di genere ponendo al centro le reali condizioni di lavoro, l’organizzazione del lavoro, i diritti individuali e collettivi delle donne e degli uomin. Stabilità, professionalità, salario, riqualificazione e formazione, ambiente e sicurezza, carichi di lavoro, parità e pari opportunità, flessibilità contrattata, orari, congedi, conciliazione dei tempi di vita e lavoro». Che prosegue. «Attenzione, però: la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro è possibile con un’adeguata organizzazione del lavoro, con un’idonea rete di servizi e con una cultura della condivisione tra uomini e donne delle responsabilità familiari. Altrimenti, si rischia la retorica della stessa conciliazione che, in questi anni, ha finito per riportare le donne dentro casa ad accudire figli e genitori anziani. E non è un caso se continuano ad aumentare le donne che lasciano il lavoro quando nasce un figlio».
«Per questo c’è bisogno di discutere e contrattare le reali condizioni di lavoro di uomini e donne, analizzando il lavoro con un’ottica di genere.
E c’è bisogno di parlare di parità, non solo di pari opportunità: il tema della parità deve tornare ad essere centrale. Peraltro, salari più bassi significano basse pensioni quando già, oggi, le pensionate marchigiane percepiscono una pensione media lorda mensile di 683 euro, ben al di sotto di quella percepita a livello nazionale e ben al di sotto di quella percepita degli uomini (-500 euro), una differenza che per le pensionate ex lavoratrici dipendenti arriva a -603 euro mensili», conclude Barbaresi.
Questi ed altri temi sono al centro della Piattaforma di genere delle donne della Cgil, “Tutte insieme vogliamo tutto”.