ANCONA- La provincia di Ancona guarda con sempre maggior interesse al fronte asiatico. L’export verso la Cina vola e segna una crescita del 38% (3,2% del totale) rispetto allo scorso anno, con una performance migliore delle altre provincie marchigiane: + 1,5%. Nella provincia di Pesaro la quota si attesa al 2,5% del totale.
Complessivamente il valore dell’export marchigiano è pari a 11,7 miliardi di euro, in flessione del -2% nel 2017 rispetto all’anno precedente e in controtendenza con la media nazionale che si attesta ad un +7,4% (dati Confindustria Marche).
La quota di export del comparto meccanico è pari al 2,446 miliardi, il 64% del totale. Settori trainanti: metalli e prodotti in metallo, autoveicoli e altri mezzi di trasporto, prodotti petroliferi raffinati, abbigliamento, mobili, alimentari e bevande.
Nelle Marche le esportazioni verso la Cina si attestano a 292 milioni su un totale di 11,7 miliardi, pari al 2,48% complessivo. Un mercato che si colloca all’11esimo posto in ordine di importanza, dal momento che i Paesi più rilevanti per quanto riguarda l’export delle Marche restano ancora Germania, Francia e Belgio seguiti da Stati Uniti, Spagna e Regno Unito. Un dato che conferma come il mercato cinese sia estremamente interessante per le imprese marchigiane, sia perché quasi ancora vergine per il made in Marche, sia per i grandi numeri che lo costituiscono.
«Sebbene i dati indichino un consistente aumento percentuale del mercato cinese, soprattutto nella provincia di Ancona (parliamo di un 38%) – spiega Claudio Schiavoni, presidente di Confindustria Marche – c’è da evidenziare che in valore assoluto il mercato cinese pesa ancora molto poco. Questo perché è sì un mercato dalle grandi potenzialità, ma rimane estremamente lontano, sia geograficamente che culturalmente, con una legislazione commerciale fluida e spesso di difficile interpretazione. Ecco perché le nostre aziende prediligono ancora i mercati tradizionali e principalmente quelli europei. Oltre il 50% dell’export regionale è infatti indirizzato ai Paesi UE e se consideriamo l’UE a 28 raggiungiamo quasi il 60%».
Lingua, distanze e differenze culturali tra le difficoltà maggiori, senza dimenticare i dazi e le guerre commerciali ingaggiate tra Washington e Pechino: «anche nelle difficoltà del presente, esistono opportunità di espansione per l’impresa locale – afferma Debra Storti, export manager della De.liu Consulting di Ancona – La sfida consiste nel superare le distanze con un’attività di mediazione che consenta di oltrepassare barriere linguistiche e culturali, di dotarsi delle più aggiornate informazioni su modi di fare business spesso sconosciuti, di occuparsi della logistica dell’export e della gestione degli obblighi doganali, di possedere strategie di marketing e di comunicazione chiave per un upgrading strategico delle aziende intenzionate ad aumentare la propria competitività e il proprio appeal, specialmente presso la nuova e numerosa classe di consumatori benestanti cinesi. Si può e si deve crescere, anche attraverso un opportuno adattamento del prodotto al mercato cinese e a un’accurata attività di registrazione di marchi e brevetti che consenta di non incorrere in casi di falsificazione o di abuso. Proteggere e illustrare in terre ignote la propria storia imprenditoriale è un compito culturale delicato» conclude la manager marchigiana.