ANCONA – Oggi, 9 maggio, è la festa dell’Europa. La data è l’anniversario della storica dichiarazione di Schuman. In occasione di un discorso a Parigi, nel 1950, l’allora ministro degli Esteri francese Robert Schuman aveva esposto la sua idea di una nuova forma di cooperazione politica per l’Europa, che avrebbe reso impensabile una guerra tra le nazioni europee. La sua ambizione era creare un’istituzione europea che avrebbe messo in comune e gestito la produzione del carbone e dell’acciaio. Un trattato che dava vita ad una simile istituzione è stato firmato appena un anno dopo e la proposta di Schuman è considerata l’atto di nascita dell’Unione europea. Inoltre quest’anno si celebrano i 60 anni dei Trattati firmati a Roma (25 marzo 1957) per l’istituzione della Comunità Europea e l’Università Politecnica delle Marche sta organizzando “Your Future Festival”. Tra gli appuntamenti, la lezione divulgativa “L’Unione Europea tra vecchie e nuove sfide” a cura del professor Emerito Pietro Alessandrini e della ricercatrice Giulia Bettin. La moneta unica e le migrazioni saranno giovedì 11 maggio (ore 16.30, facoltà di Economia) al centro dell’incontro, partendo dalla costruzione dell’Europa e arrivando ai nostri giorni.
Professor Alessandrini, l’elezione di Emmanuel Macron in Francia è una vittoria anche per l’Europa?
«Il fatto che l’euro si sia immediatamente rivalutato significa che quella di Macron è una vittoria che dà stabilità all’euro come moneta unica e poi speriamo anche al progetto di integrazione europea. L’elezione di Macron è stata un’iniezione di fiducia, ne è la dimostrazione il rafforzamento dell’euro».
Se non avesse vinto, quali ripercussioni avrebbe avuto l’Unione Europea?
«L’alternativa sarebbe stata un disastro perché ci sarebbe stata una crisi di fiducia che avrebbe dato adito a tante altre spinte nazionalistiche, così da vanificare tutto quello che è stato lo sforzo, seppur ancora inadeguato, per realizzare l’unione europea e al suo interno l’unione monetaria. Tutti avrebbero considerato un fatto estremamente negativo la vittoria della Le Pen».
A che punto è il processo di integrazione europea?
«Ci sono ancora tanti nodi da sciogliere, a cominciare dalle migrazioni. Di questi problemi europei, tra i quali la crisi economica che ha colpito l’Europa dal 2010 in poi, l’euro ne ha subìto le conseguenze perché una moneta è stabile se il retroscena di questa moneta è forte e stabile. Invece quando ai problemi non si è riusciti a dare una risposta credibile, allora anche l’unione monetaria europea ha vacillato. Dico sempre che “noi dobbiamo curare la malattia e non guardare la febbre”: la sfiducia che molti esprimono nei confronti dell’euro, dell’unione monetaria, è determinata da un errore di valutazione che si fa guardando la febbre e non la sua causa. L’euro è un capro espiatorio, ma non è la causa della crisi».
Cosa serve per curare la malattia?
«Sarebbe stato necessario evitare alcuni eccessi, come quello di rigore fiscale. Non che questo non sia stato necessario, però si è data troppa enfasi ai problemi dei debiti pubblici e così facendo nell’unione europea si è persa la possibilità di dare una spinta espansiva dal punto di vista fiscale. L’incoraggiamento all’economia per evitare e anche per ridurre la disoccupazione, purtroppo non c’è stato. Adesso bisogna ridare fiducia al sistema e proseguire nel cammino dell’unione e dell’integrazione europea».
Cosa manca all’euro?
«Quello che manca all’euro è un governo fiscale sovranazionale come hanno per esempio gli Stati Uniti che hanno una moneta unica e un governo al di sopra dei 50 stati che distribuisce le risorse e accompagna la politica monetaria e anche la politica fiscale. Noi al contrario abbiamo una moneta unica ma tanti governi nazionali autonomi dal punto di vista fiscale, condizionati da vincoli di bilancio e tutta una serie di restrizioni. Le monete generalmente nascono dopo l’unificazione politica, che non vuol dire che tutti gli stati devono avere un unico governo europeo, ma vuol dire creare un governo federale sovranazionale mantenendo i governi nazionali dei singoli paesi. Occorre un governo fiscale sovranazionale che li unisca, che abbia capacità di spesa e anche di raccogliere le tasse come c’è nella gran parte degli stati. Dopodiché si mantengono i governi nazionali che mantengono la loro autonomia. Ad esempio negli Stati Uniti ci sono stati che hanno la pena di morte e altri no. All’inizio i padri fondatori dell’Ue quando decisero di partire, vedendo che questa unificazione politica era più difficile in Europa, pensarono di dare una spinta e di usare come catalizzatore un processo di moneta unica che necessariamente avrebbe dovuto poi portare a delle forme di convergenza a livello di gestione politica sovranazionale. Questa è la cosa che andava fatta ma a cui non si è arrivati a causa della crisi che ha creato tutta una serie di egoismi nazionali che purtroppo hanno messo a rischio la tenuta stessa dell’unione monetaria europea.
Ora però c’è ancora chi vorrebbe uscire dall’euro.
«Qualcuno attribuisce a torto le colpe all’euro e vuole uscirne per riprendersi la propria moneta nazionale, ma non sarebbe altro che una fuga all’indietro, quando invece bisogna proseguire avanti con molto coraggio e dare stabilità. Se si tornasse invece ai nostri stati nazionali ciascun paese sarebbe troppo piccolo in un sistema mondiale dove ormai la politica si fa a livello di grandi aree e di grandi paesi. Se qualcuno dovesse uscire dall’euro salterebbe tutta l’unione monetaria. Il Regno Unito è uscito dall’Ue, ma non aveva l’euro per cui la cosa è stata meno dolorosa».