ANCONA – Una mostra sul fabrianese Sirio Bellucci – Il favoloso beffardo. Ha preso il via da sabato (20 gennaio) l’esposizione nella sede della Galleria Puccini di Ancona, in via Matteotti 31/A. All’iniziativa, a cura di Francesco Maria Orsolini, si potrà prendere parte fino al 17 febbraio (con i seguenti orari: dal mercoledì al sabato, 17-19.30).
«Bellucci, nato a Fabriano nel 1924, è morto 11 anni fa, a Macerata, nel 2013. Nacque in località Belvedere e poco più che adolescente si trasferisce a Roma e in altri centri del Lazio, svolgendo i mestieri più disparati. Nel 1943 è arruolato e viene trasferito in Sicilia, poi in Calabria. Finita la guerra, nel 1948 si arruola in Polizia e si trasferisce a Savona e Genova. Qui inizia a dipingere e ad esporre in contesti popolari, ai margini del mercato dell’arte. Per motivi familiari, nel 1955 torna nelle Marche, a Macerata, e nel 1959 viene qui trasferito da Genova.
Sempre più attratto dalla ricerca dell’arte contemporanea, «frequenta i galleristi Sergio Cicconi e Pio Monti, con i quali inizia la frequentazione dell’ambiente artistico romano, conoscendone i protagonisti, tra i quali Man Ray, Emilio Prini, Mario Merz, Jannis Kounellis, Gino De Domicis, che incontra alle mostre delle varie gallerie d’avanguardia del tempo, in particolare l’Attico di Fabio Sargentini, e in occasione degli incontri di Palazzo Taverna, curati da Achille Bonito Oliva. Da questi viene invitato nel 1973 alla mostra Contemporanea, che rappresenta il suo vero esordio sulla scena artistica nazionale, e che lo segnala come originale interprete dell’arte concettuale. Riconoscimento che gli verrà confermato nel 1975, con l’invito della galleria Toselli di Milano ad esporre il ciclo di opere Window open.
Alla fine degli anni ’70 si trasferisce a Belvedere di Fabriano, dove vive e lavora nella casa paterna. La sua intensa produzione artistica è dominata da un recupero della figurazione in chiave fortemente autobiografica e visionaria, in cui non viene mai ad esaurirsi la vena ironica, surreale e paradossale, alimentata dai suoi intensi e originali interessi letterari e filosofici.
Dagli anni ’80 presenta i suoi lavori ad una ristretta cerchia di amici e di suoi estimatori, del tutto disinteressato a reintrodursi nel mercato dell’arte e limitando le attività espositive ai centri delle Marche e dell’Umbria, che gli consentivano di seguirne personalmente l’organizzazione. Nel 2011 è tra gli artisti invitati dal curatore Vittorio Sgarbi ad esporre alla 54esima Biennale di Venezia – Padiglione Italia, Regione Marche.
«Questa mostra rientra nel più ampio progetto espositivo Aspetti dei linguaggi espressivi dell’arte contemporanea, relativo ad una serie di mostre allestite a cura dell’Amia, a partire da ottobre 2023 fino all’estate 2024. Dopo la monografica inaugurale dedicata a Gino De Dominicis nel venticinquennale della morte, e l’evento sulla Collezione delle opere d’arte contemporanea di Armando Ginesi – spiega Orsolini – la rassegna presenta ora una riflessione storico e critica su un’artista marchigiano protagonista dell’arte contemporanea del secondo Novecento come il fabrianese Sirio Bellucci, nel centenario della nascita e ad appena dieci anni dalla morte».
Grazie ai prestiti del Trust Sirio Bellucci di Fabriano, che ha in affidamento le opere degli eredi, e di alcuni collezionisti anconetani, la mostra presenta una selezionatissima raccolta di opere. Il primo ambito del percorso espositivo è quello concettuale, con le cui opere Sirio Bellucci si fece conoscere sulla scena artistica nazionale, anche grazie alla pubblicazione sulla copertina della rivista “Flash Art” di Window open e ad una recensione sul “Corriere della Sera” di Achille Bonito Oliva, che lo aveva già invitato nel 1973 alla grande mostra internazionale Contemporanea, allestita al neoinaugurato parcheggio di Villa Borghese a Roma, progettato dall’architetto Luigi Moretti.
Seguono poi le opere degli anni ‘80-’90, realizzate da Sirio Bellucci a Belvedere, nella sua casa-studio-laboratorio, che ha rappresentato una sorta di ritorno alle origini e un buen retiro esistenziale e creativo, dove elabora una nuova poetica della figurazione. Ciò che la caratterizza è l’immersione in un immaginario in cui l’occhio del veggente esplora storie inattuali rimaste “senza mondo”, estratte dalla profondità del deposito memoriale autobiografico, in cui miti e tradizioni della civiltà contadina costituiscono l’accesso alla Natura.
Questa poetica richiede la prevalenza del nero come sfondo, graffiando la pellicola del quale Bellucci lascia apparire i segni luminosi e colorati di figure e narrazioni. Mentre, con un procedimento di segno opposto, che applica a partire dalla serie degli Ovali, egli riprende la tradizione leonardesca, poi fatta propria dai surrealisti, della macchia e delle cose confuse in pittura, distende il nero con tamponature su un fondo chiaro, creando una stesura indefinita del chiaroscuro, che invita l’osservatore ad entrare nella specola e osservatorio del veggente, percependo il continuo alternarsi di apparenza e realtà delle immagini. Ma non solo delle immagini, perché attraverso la pittura, l’arte guida alla visione e alla comprensione del mondo reale, con un chiaro ricongiungimento alla precedente ricerca del periodo concettuale.
La mostra è stata organizzata con la partecipazione della Regione Marche ed in collaborazione con l’Associazione In Arte e il Trust Sirio Bellucci di Fabriano.