ANCONA – Ripulivano i soldi della ‘Ndrangheta con operazioni commerciali nella provincia dorica portate a termine attraverso società fittizie che avrebbero emesso fatture false per lavori fantasma i cui importi venivano intascati direttamente da un elemento di spicco della cosca ‘ndranghetista degli Alvaro di Sinopoli, considerata la cosca calabrese tra le più attive e potenti delle organizzazioni criminali.
Tre fabrianesi e un calabrese residente da anni a Fabriano sono stati sottoposti a fermo e si trovano ora in carcere con l’accusa di riciclaggio e autoriciclaggio commessi con l’aggravante mafiosa. I fabrianesi sono due geometri di 58 e 67 anni e un broker finanziario di 44 anni. L’imprenditore calabrese è Domenico Laurendi, di 51 anni, residente a Fabriano dal 2005. Ha una attività che si occupa di fibra ottica. E proprio dal nome del settore in cui opera il 51enne è stata chiamata l’operazione del reparto speciale dei carabinieri, denominata “Open Fiber” (che non ha nulla a che fare con una azienda che ha questo nome ed opera a livello nazionale, estranea a tutti i fatti) anche se l’attività in questione non c’entra in questa indagine. I fermi sono stati disposti dalla Procura Distrettuale Antimafia di Ancona con il coordinamento del procuratore capo Monica Garulli e il pm Daniele Paci.
Il modus operandi, spiegato dal vice comandante nazionale del Ros Giancarlo Scafuri, dal comandante del Ros di Ancona Francesco D’Ecclesis e dalla procuratrice Garulli, sarebbe stato il seguente. Tramite il broker che stava spesso in Svizzera sarebbero arrivati 320mila euro nel fabrianese (soldi riconducibili alla cosca) per far portare a termine ai due geometri un acquisto di un capannone industriale situato alla Baraccola di Ancona del valore di 1 milione e 500mila euro. Una parte di questi soldi, 140mila, sono entrati nelle tasche degli ‘ndranghetisti attraverso fatturazioni false di lavori fantasmi emesse da società riconducibili ai due geometri. Altri 80mila sarebbero arrivati alla cosca attraverso la vendita di un terreno a Genga, riconducibile ai due geometri, sempre con una fittizia operazione commerciale. Ma prima che l’iter si potesse concludere è arrivata la misura della Procura.
Contestualmente ai 4 fermi è stato eseguito un decreto di sequestro preventivo del capannone alla Baraccola per un valore complessivo di 1.500.000 euro. Eseguite anche numerose perquisizioni nei confronti di altri tre indagati, nonché di soggetti e società che, dislocati in varie regioni del territorio nazionale e all’estero, sono emersi nel corso delle attività d’indagine. A mettere il Ros nella strada della cosca è stata una segnalazione della Banca di Italia che ha notato passaggi di denaro tra i tre fabrianesi e il calabrese.
Era il 2018. Accertati stabili rapporti economici tra l’imprenditore calabrese e i professionisti fabrianesi destinatari del provvedimento di fermo. Le indagini hanno documentato un complesso meccanismo di triangolazioni finanziarie tra Italia, Inghilterra e Svizzera – che ha coinvolto altri professionisti sottoposti ad indagine, seppur non destinatari del provvedimento di fermo -, mediante il quale cospicue somme di denaro riconducibili alla predetta organizzazione criminale sono state riciclate, per il tramite del loro imprenditore calabrese, attraverso l’acquisto dei beni immobili sottoposti a sequestro preventivo. Nel contesto delle indagini, c’è stato un costante e puntuale coordinamento della Procura Nazionale Antimafia. Una convergente indagine sulla medesima cosca degli Alvaro, condotta dalla Procura Distrettuale di Reggio Calabria, ha visto coinvolto lo stesso imprenditore calabrese sottoposto al fermo dall’autorità giudiziaria di Ancona.