MACERATA – Oggi, 12 maggio, si festeggia la giornata internazionale dell’infermiere. Il 2020 inoltre è anche l’anno dell’infermiere, come definito dall’OMS, perché coincide con il bicentenario della nascita di Florence Nightingale (12 maggio 1820), madre dell’infermieristica moderna. Proprio per quest’anno l’Ordine professionale aveva previsto grandi festeggiamenti che però sono stati bloccati dal Covid-19. Abbiamo intervistato Sandro Di Tuccio, presidente dell’Ordine degli infermieri di Macerata.
Presidente, quella di quest’anno è sicuramente una festa diversa da quelle che avete vissuto solitamente?
«Proprio nell’anno a lui dedicato, la figura dell’infermiere è stata la protagonista della gestione dell’emergenza. Tutti si sono resi conto dell’importanza di questi professionisti e si è presa coscienza del loro valore assoluto in tutti gli ambiti della sanità. C’è chi ha definito l’infermiere un eroe, chi un angelo, chi un martire, anche se in realtà è un professionista che fa il suo dovere fino alla fine senza se e senza ma e lo fa da sempre, non solo oggi. Si è passati dallo status di paramedico, come spesso lo si è definito, a vero professionista con una sua ben precisa identità professionale, con ruoli e competenze ben delineate e con valori etici e morali sanciti da un proprio codice deontologico. Speriamo che il tempo valorizzi ancora di più la reale capacità dell’infermiere e possa sempre di più svolgere il suo lavoro in tutti gli ambiti dove è competente ma che spesso gli sono preclusi. In ogni caso onorare questa figura è d’obbligo, soprattutto per quello che sta facendo in questi giorni per il bene degli ammalati, dei cittadini, di tutto il paese».
Ora anche voi vi state preparando alla Fase 2, come cambiano le cose?
«Ovviamente continuiamo a lavorare tenendo alta la guardia e sapendo che il nemico è subdolo ed è ancora tra noi. Stiamo lavorando sul ritorno alla normalità e alle attività ordinarie perché le vecchie malattie non sono andate in pensione e ci sono moltissimi interventi e visite da recuperare; sono aumentati i problemi cardiovascolari, ci sono i tumori e continua sempre la lotta al Covid-19 con il quale dovremo convivere ancora per un po’ di tempo».
Una figura professionale la vostra che purtroppo nelle ultime settimane è stata anche al centro di episodi di violenza.
«Purtroppo sì e questo non è accettabile; abbiamo bisogno di un cambio culturale. Ringraziamo la direzione dell’Area Vasta 3 che ha messo a disposizione un metronotte dalle ore 8 alle ore 22 per monitorare la situazione al pronto soccorso dove si sono verificate le due aggressioni. La situazione resta comunque drammatica perché questo è un problema che c’è sempre stato e che sempre ci sarà e attendiamo che il Senato sblocchi quella legge ancora ferma che dà la certezza della pena per chi aggredisce un operatore sanitario. Poi sarebbe opportuno formare il personale per cercare di prevenire questo tipo di episodi e l’invito, a tutti i colleghi, è quello di continuare a denunciare questi fenomeni che colpiscono, dalla minaccia verbale all’aggressione fisica, il 95% degli operatori sanitari.
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Quale è l’augurio che fa all’Ordine in questo giorno di festa.
«L’augurio per tutti è quello di tornare presto alla normalità perché ci sono moltissimi infermieri che a causa del Covid-19 non vedono da molto tempo i propri figli o non li abbracciano per paura di contagiarli. Poi speriamo che inizino ad arrivare contratti adeguati alla nostra figura professionale che deve ottenere quel riconoscimento sociale che ancora le manca. Gli infermieri rappresentano 450mila persone in Italia e la speranza è che anche noi possiamo sederci ai tavoli di confronto in materia sanitaria con gli stessi diritti di altre figure professionali e degni del livello formativo e culturale che abbiamo raggiunto. Penso, in tal senso, all’importanza dell’infermiere di famiglia che ha il controllo del paziente e parla con il medico per eventuali interventi e ricoveri riducendo anche l’intasamento nei pronto soccorsi e negli ospedali dato che ha una situazione di monitoraggio costante con il paziente. Perché è possibile portare la sanità a casa delle persone soprattutto in un contesto come quello della nostra provincia dove chi necessita di cure popola, prevalentemente, il nostro bellissimo entroterra. L’infermiere di famiglia rappresenterebbe così un importante punto di riferimento e di monitoraggio tra l’ospedale e il territorio e l’efficacia di questo ce l’ha dimostrato il modello della Lombardia in questa emergenza dato che ha grandi strutture ma che non ha un sostegno assistenziale diretto: lì gli ospedali hanno retto ma il territorio no. Ecco noi possiamo evitarlo e possiamo far sì di portare, grazie alla nostra professione, benefici sia ai cittadini sia al sistema sanitario».