Ancona-Osimo

Tre dicembre: Giornata Internazionale delle Persone con Disabilità

«Le diversità, o meglio le differenze che ci caratterizzano, sono delle risorse che portano l’individuo a migliorare la qualità della propria vita e al benessere dell’intera comunità», dice Stefano Defendi, sociologo, impegnato sul campo in progetti della Regione

“Nessuno venga lasciato indietro”: ecco il principio cardine della Giornata Internazionale per sensibilizzare la gente sulla disabilità, che dalla sua istituzione nel 1981 ricorre ogni anno il 3 dicembre. Un appuntamento non solo per i disabili, ma anche per le loro famiglie, gli operatori, i professionisti che operano nel sociale e tutti noi. Questi gli scopi principali: promuovere una più diffusa e approfondita conoscenza sui temi della disabilità, sostenere la piena inclusione delle persone con disabilità in ogni ambito della vita e allontanare ogni forma di discriminazione e violenza.

Dare forza alle persone con disabilità e assicurare loro uguaglianza e inclusività: questo il tema scelto per il 2018, ogni anno diverso.

Per approfondire l’argomento abbiamo parlato con Stefano Defendi, sociologo, impegnato nella Provincia di Ancona in due importanti progetti: da una parte come socio-dipendente della Cooperativa Sociale Opera gestore del Centro per il Lavoro Guidato (CLG) del comune di Ancona, un servizio di progettazione professionale volto a favorire l’integrazione lavorativa delle persone in situazione di disabilità psicofisica e mentale, all’interno della quale opera come coordinatore responsabile; dall’altra in qualità di collaboratore per La Rete del Sollievo, un progetto dedicato nello specifico all’area della salute mentale, finanziato dalla regione Marche e sostenuto in sinergia dai 7 Comuni dell’Ambito Territoriale 13 e dal Centro di Salute Mentale Sud di Osimo, dove assume il ruolo di coordinatore delle attività.

«Parlando di disabilità – spiega Defendi – bisogna innanzitutto saper distinguere, perché esistono differenze sostanziali all’interno di questa realtà: la prima distinzione da fare è sicuramente tra disabilità mentale, cognitiva e fisica, in quanto queste condizioni influenzano il “funzionamento” della persona, in riferimento al proprio contesto, in modo differente. In questo frangente è utile precisare che disabilità e invalidità civile, termini troppo spesso confusi o accumunati, sono due concetti differenti che si riferiscono a situazioni e condizioni differenti: la disabilità è una condizione certificata dalla legge 104/92 e riconosce lo stato di handicap fisico, psichico, sensoriale, che è causa di uno stato di svantaggio che può essere determinate per l’esclusone sociale della persona coinvolta. L’invalidità civile invece, certificata dalla legge 118/71, è una condizione di menomazione fisica, intellettiva e psichica, riconosciuta dal nostro ordinamento giuridico, per usufruire di determinati benefici di natura economica, sociale, sanitaria. In questo senso, quindi, una cosa non include necessariamente l’altra. Entrambe le condizioni sono certificate da personale medico qualificato e portano a benefici distinti.».

C'è necessità di uguaglianza e inclusività
C’è necessità di uguaglianza e inclusività

«Le difficoltà a cui va incontro una persona disabile – prosegue il Sociologo – investono un po’ tutti gli aspetti della vita, dal settore professionale, fino alla sfera più prettamente privata.

La problematica relativa al lavoro, ad esempio, è cruciale, visti i livelli di disoccupazione elevatissimi nell’ambito: da dati forniti dall’Osservatorio Nazionale sulla salute nelle regioni italiane nel rapporto “Osservasalute” 2016, infatti, risulta che attualmente in Italia si stimano circa 4 milioni e 360 mila persone disabili, che corrisponde all’incirca ad un 7.2% della popolazione totale residente sul territorio della Penisola.

In questa percentuale sono presenti 2 milioni e 600 mila persone sopra i 65 anni e sul totale delle persone iscritte alle categorie protette della Legge 68/99, nell’anno di riferimento, solo il 18% risulta regolarmente occupato. Sul sito dell’Istat “Disabilità in cifre”, inoltre, sono pubblicati i dati dell’indagine periodica multiscopo sulle famiglie per condizione di salute e ricorso ai servizi sanitari con riferimento alla Legge 68/99, inerente al diritto al lavoro dei disabili e delle altre categorie protette, come ad esempio invalide sul lavoro, invalidi di guerra e invalidi per servizio che non sono iscritte alla legge 104/92, orfani per cause di lavoro e di guerra, profughi italiani.

Dai dati raccolti nel 2011 risulta che di tutti i 682.147 iscritti alle categorie protette della 68/99, 22.023 persone erano avviate al lavoro con contratto e 8.889, invece, con tirocinio.

Questo quadro evidenzia però un aspetto critico, perché contemporaneamente i numeri ci dicono anche che, a seguito dell’obbligo legislativo imposto alle aziende, pubbliche e private, di mettere a disposizione posti lavoro per le categorie protette – nello specifico 1 posto per aziende da 15 a 36 dipendenti, 2 da 36 a 50 ed il 7% quando il numero dei dipendenti fissi supera le 50 persone – le posizioni aperte e dedicate ammontano ad un totale di 179.904, che fa pensare subito ad un paradosso: risulta infatti che la forza lavoro da impiegare è di gran lunga inferiore rispetto all’offerta da parte della filiera, e questo avviene perché, il territorio produttivo e quanto rotea intorno ad esso, non ha ancora, purtroppo, un adeguato livello di osservazione sulla disabilità, per una reale accoglienza delle persone coinvolte. A questo è doveroso sottolineare, che sono presenti notevoli difficoltà nell’erogazione di servizi reali di supporto alle aziende, per un reale inserimento lavorativo, nel contesto produttivo, delle persone disabili. Queste ultime, inoltre, non sempre riescono ad assumere i ruoli professionali richiesti da parte delle aziende, soprattutto se le persone coinvolte presentano problematiche di natura psichiatrica e cognitiva.».

Le difficoltà a cui va incontro una persona disabile investono tutti gli aspetti della vita
Le difficoltà a cui va incontro una persona disabile investono tutti gli aspetti della vita

«Accade quindi, concretamente, – puntualizza Defendi – che da una parte la persona disabile, pur impegnandosi e mettendosi in discussione, non riesca a rispondere positivamente alle competenze richieste, dall’altra le aziende per questioni di continuità e fluidità della filiera sono impossibilitate e poco supportate dai servizi competenti, a creare posizioni ad-hoc con mansioni su misura per loro; ed ecco che si crea il gap, che stagna. Ma attenzione, suddette aziende non sono assolutamente tenute ad assumere una persona disabile con inquadramento, per così dire, accessorio, perché al contrario non farebbero altro che peggiorare la situazione: l’occupazione di persone disabili non è solo una mera questione di stipendio e di obbligo di legge, ma anche di inclusione sociale. L’inserimento lavorativo, se ben progettato, è uno strumento utile alla responsabilità individuale e all’indipendenza, alla consapevolezza e all’accrescimento delle proprie risorse. È un processo legato al conferimento di potere da parte della società alla persona disabile, sulla base del proprio ruolo, delle proprie competenze e caratteristiche. In sintesi il lavoro è parte integrante dell’empowerment inteso come valorizzazione dell’individuo nel proprio contesto di riferimento, quindi di inclusione».

"L’occupazione di persone disabili non è solo una mera questione di stipendio."
“L’occupazione di persone disabili non è solo una mera questione di stipendio.”

«Uno dei problemi sostanziali che si riscontrano più frequentemente nella dimensione della disabilità, – aggiunge il sociologo – è il ruolo passivo che le persone interessate rivestono. Spesso, queste ultime, tendono ad avere un atteggiamento passivo nei confronti del proprio futuro e sono messe nelle condizioni di essere protagonisti non attivi delle proprie decisioni, con approcci assistenzialistici e poco o per nulla responsabilizzanti, che il più delle volte portano al fallimento del complesso percorso di inclusione sociale. Per una reale inclusione delle persone disabili nel tessuto sociale di riferimento, dovremmo provare a cambiare il livello di osservazione e supportare diritti e doveri della persona disabile, mettendo quest’ultima nelle condizioni di prendersi realmente carico della propria vita e delle proprie decisioni, ognuno con i propri limiti e potenzialità. Purtroppo, ad oggi, abbiamo sì quantificato il sociale ma ne abbiamo perso la qualità.

Cosa si sta facendo?
«Tantissimo, anche nella nostra provincia e regione: posso testimoniare in prima persona quanta sensibilità ci sia sul tema, espressa nei vari progetti che lo dimostrano; l’impegno a migliorare la situazione nei confronti delle persone disabili c’è su tutti i fronti, sarebbe impossibile affermare il contrario, non solo dal punto di vista occupazionale, ma anche nell’ambito urbanistico delle barriere architettoniche e della residenzialità, come dal punto di vista umano per problematiche relative all’inclusione sociale. Si conta una mole importante di persone aiutate, ma c’è ancora movimento e tanta strada da fare».

Cosa si dovrebbe fare?
«
Innanzitutto dovremmo investire di più sulla formazione e conoscenza del fenomeno, anche attraverso l’uso di indicatori sociali di natura qualitativa, che fungano da riferimento sull’efficienza e l’efficacia degli interventi attuati».

"La normalità è un concetto dai confini molto labili."
“La normalità è un concetto dai confini molto labili.”

«Il mondo della disabilità è un mondo pieno di ricchezze, che però la società troppo spesso tratta attraverso il meccanismo della diversità intesa come contenitore della così detta “normalità”. – conclude Stefano Defendi – Dovremmo cambiare il paradigma di riferimento sulle persone disabili, non solo per il loro bisogno, ma in un’ottica più ampia di condivisione. Potremmo definire la società in cui viviamo da diverse angolature, fra cui quella del rischio. Mai come nel momento attuale, tutti noi, potremmo aver bisogno di aiuto e ritrovarci a vivere direttamente il fenomeno della disabilità, della diversità. Siamo tutti a rischio, nessuno è immune. La normalità, ammesso e non concesso esistesse, è un concetto dai confini molto labili e sotto certi aspetti, dipende da come la interpretiamo e da come intendiamo osservarla e costruirla quotidianamente con le nostre scelte e decisioni. Osservare il fenomeno della disabilità da vicino, nel tempo, mi ha insegnato una cosa molto importante: le diversità, o meglio le differenze che ci caratterizzano, ognuna a loro modo, sono delle risorse che se ben calibrate, porteranno sicuramente l’individuo a migliorare la qualità della propria vita e al benessere dell’intera comunità».