ANCONA – La Giornata mondiale dell’Oceano, che cade l’8 giugno, è stata riconosciuta ufficialmente dalle Nazioni Unite nel 2008 per sensibilizzare l’opinione pubblica sul ruolo essenziale che gli oceani svolgono per la vita del pianeta. L’oceano ospita fino a 10 milioni di specie marine, rappresenta un importante serbatoio di carbonio a lungo termine e agisce da regolatore climatico. Circa 39 milioni di persone sono direttamente impiegate nella pesca e più di 3 miliardi di persone dipendono dal pesce come fonte primaria di proteine. Ma i nostri ecosistemi marini sono sottoposti a un’enorme pressione. Oltre un terzo degli stock ittici mondiali viene pescato a livelli insostenibili e il cambiamento climatico sta provocando cambiamenti senza precedenti nella biodiversità marina. Parliamo di mare, di pesca e di rischi ambientali anche guardando ad Ancona, città abbracciata dal mare. E parliamo del nostro mare, l’Adriatico che come il Mediterraneo è sotto la minaccia della pressione antropica e del cambiamento climatico, ma la sua capacità omeostatica e la resilienza delle specie animali e vegetali che lo abitano lo rendono capace, sino ad oggi, di resistere. Bisogna però intervenire e il biologo in questo dovrà avere un ruolo determinante.
«La situazione climatica del riscaldamento globale che vediamo ben evidenziata sulle mappe terrestri è identica per i mari – spiega il professor Carlo Cerrano, ordinario di Zoologia al Dipartimento di Scienze della Vita e dell’Ambiente (Disva) dell’Università Politecnica delle Marche – pertanto, tutte le forme di vita che non si possono muovere (come spugne e coralli) sono destinate a scomparire se non hanno le capacità di adattarsi a queste situazioni stressanti. Milioni di specie stanno scomparendo, con un forte impoverimento degli habitat e di zone che appaiono veramente desertificate. Questo accade purtroppo lungo tutte le coste italiane e nel nord, dove gli organismi sono più abituati al freddo».
Queste situazioni iniziano a manifestarsi dall’inizio dell’estate, per poi toccare il picco in autunno. E si va peggiorando. «Pertanto è necessario raggiungere l’obbiettivo 3030 ovvero il 30% dei mari protetti entro il 2030 e implementare, in Italia, le aree “diversamente gestite” vale a dire con regole divere dal resto del mare – spiega ancora il docente – sappiamo che l’unica difesa è la tutela delle biodiversità, perché dove la biodiversità è compromessa, il sistema diventa meno resiliente e più fragile».
In questa direzione è importante applicare la direttiva sulla Gestione Spaziale del Mare e soprattutto pervenire a una gestione integrata della costa, dove possano convivere tutela dell’ambiente e della sua biodiversità con gli usi antropici del mare che proprio sulla costa sono più intensi. Per raggiungere questi obbiettivi è necessario rendere la pesca sempre più sostenibile e protagonista della tutela del mare. Necessiterà anche fronteggiare il problema dei rifiuti marini, le bioinvasioni di specie non indigene e l’inquinamento.
«Esistono due tipi di pesca: quella sul fondo, a strascico, e la pesca del pesce azzurro nella colonna d’acqua. La pesca a strascico distrugge i fondali e non abbiamo una percezione dell’intensità del fenomeno, ma di certo dragare tutto il fondale mette a rischio l’habitat marino. Se a livello globale la pesca è in forte riduzione, è perché sono stati distrutti molti habitat. E di conseguenze, anche gli effetti dei cambiamenti climatici diventano più devastanti».
Di questo rischio parleranno oggi i ricercatori e i docenti del Disva, impegnati in attività di ricerca varie, convegni, presentazioni e divulgazioni dedicati proprio alla Giornata degli Oceani. «Siamo in una zona che vive di pesca, da quando è stata chiusa la pesca a strascico a Fossa di Pomo qualche anno fa, ha permesso un miglioramento dell’attività di pesca», conclude il docente che fa riferimento alla situazione nella Fossa di Pomo (Jabuka in croato), parte protetta del mare Adriatico tra Croazia e Italia, dove le popolazioni ittiche si stanno ristrutturando, verso una possibile via d’uscita dalla crisi generata da decenni di sovrapesca. La pesca nella Fossa di Pomo/Jabuka ha subito restrizioni, dopo un accordo straordinario: scienziati, pescatori, ong e le autorità di due Paesi – Croazia e Italia – si sono impegnati a proteggere questa zona, vitale per la riproduzione di naselli e scampi. Equipaggiate con le ultime tecnologie, le navi di ispezione della pesca e la guardia costiera pattugliano l’area, facendo rispettare le restrizioni.