ANCONA- Negli ultimi giorni alcuni episodi di cronaca hanno riacceso i riflettori sullo spaccio di droga nell’anconetano, dove gli uomini della Squadra Mobile dorica, capitanati dal comandante Carlo Pinto, hanno condotto una serie di operazioni investigative che hanno portato alla denuncia di alcuni spacciatori della zona. Un’azione, quella delle forze di Polizia, che non si limita al solo territorio dorico, ma che interessa anche le città limitrofe nell’ambito dei servizi di prevenzione e controllo del territorio.
«Sul versante droga stiamo procedendo con un’azione serrata – spiega Carlo Pinto, comandante della Squadra Mobile di Ancona – sia per quanto riguarda lo spaccio di droga pesante come la cocaina, che interessa maggiormente la popolazione adulta, sia per quanto riguarda le droghe leggere come la cannabis, molto diffuse tra i giovani. Per questo operiamo sul territorio a 360 gradi, attraverso un’azione capillare, che ci ha portato ad eseguire già diversi arresti dall’inizio dell’anno. Ancona è una città sotto controllo dal punto di vista della droga, non si registrano situazioni di spaccio di piazza e non ci sono aree metropolitane occupate dagli spacciatori, come avviene invece in molte altre città italiane. Inoltre, nell’ambito dei servizi di controllo del territorio, siamo molto vicini e attenti a tutto quello che succede intorno alle scuole, per prevenire il fenomeno dello spaccio e contrastare il consumo di sostanze illecite».
Un fenomeno, quello della droga che investe in maniera trasversale la società e che vede la popolazione giovanile sempre più coinvolta nel consumo degli stupefacenti. I dati parlano chiaro in questo senso, infatti secondo la Relazione annuale del Dipartimento per le Politiche Antidroga della Presidenza del Consiglio, nel 2017 in Italia il 25,9% della popolazione studentesca ha consumato almeno una sostanza illegale: cannabis nel 25,8% dei casi e Spice (cannabis sintetica) nell’11%.
Ma perché i giovani sono così spinti verso il consumo delle droghe? E cosa possono fare genitori e insegnanti?
Lo abbiamo chiesto alla dottoressa Francesca Mancia, psicoanalista Spi (Società Psicoanalitica Italiana) e psicoterapeuta infantile Tavistock Centro Ricerche di Psicoanalisi di Gruppo di Ancona.
Dottoressa Mancia, quali sono le cause che portano tanti giovani ad avvicinarsi al mondo delle droghe?
«La droga è molto diffusa tra i ragazzi, si trova già in prima media, dove gli alunni vanno in bagno a “farsi”. È un problema che nasce dalla nostra incapacità di fermarci ad ascoltare, a vivere la sofferenza, attraversarla. Non siamo più abituati e non abbiamo cresciuto i nostri figli educandoli all’attesa. I giovani di un tempo erano forgiati da lotte incredibili, avevano obiettivi. Oggi non ci sono più lotte e non riusciamo più a rallentare i tempi della crescita. I genitori devono imparare a far annoiare i bambini, perché solo nella sofferenza possono crescere.
Anche i giochi che hanno a disposizione sono semplici, come ad esempio l’Ipad che si usa con un solo dito. Tutto è veloce, immediato, poco sofferto, ma gli adolescenti vogliono fare le loro battaglie, ne hanno bisogno. Gli adulti devono parlarci, rallentare il tempo di crescita, lasciare ai figli il tempo di soffrire. I ragazzi non sono perduti, si può intervenire. Smettiamo però di usare cerotti, stiamo con loro, pensiamo a progetti scolastici semplificati ma più profondi, dove si studiano meno autori ma in maniera più approfondita. Anche se il vero problema di oggi non è la droga. I nostri figli hanno troppe cose, sono consumatori bulimici, come la nostra società che è una consumatrice bulimica, abbiamo tutto a disposizione. Invece è necessario sperimentare la sofferenza per comprendere che abbiamo la forza per superare tante battaglie. I ragazzi bevono per sentire o per non sentire più, si drogano perché lo fanno tutti, e già in terza media hanno provato tutto, ma quello che fanno esprime una dipendenza dal bere, dalla moda ecc.
È il modello di vita che è drogato. Anche il cibo è diventato un problema, ci sono tanti ragazzi ammalati di bulimia, anoressia o che si distruggono in palestra per mettere su muscoli. Stiamo sbagliando, dobbiamo fermarci e dare spazio ad un silenzio pensoso. E lo dobbiamo fare noi adulti per insegnarlo ai piccoli e agli adolescenti. Molti ragazzini riferiscono di non avere rapporti con i genitori, le relazioni si sono svuotate. I genitori non capiscono più i ragazzi e i ragazzi non capiscono più i genitori. Si crea una situazione di non comprensione reciproca, ma le relazioni si strutturano sulla definizione dei ruoli. I genitori di oggi concedono tutto, mentre ai figli va insegnato prima a tollerare la frustrazione. È anche importante che ci rendiamo conto che le nuove tipologie familiari venutesi a creare in seguito alle separazioni dei genitori, creano disagio ai ragazzi. Sembrano adattarsi a tutto, ma spesso non hanno il tempo per metabolizzare questi cambiamenti profondi e arrancano. L’uso di sostanze diventa un modo per proteggersi anche da ciò che non riescono ad integrare nel loro vissuto».
Cosa si può fare per arginare il fenomeno?
«Serve un’azione che parta dai primi mesi di vita. È qui che nasce il problema della droga, dobbiamo ripartire dalla gravidanza e ricostruire un assetto sociale che rassereni i genitori. I ragazzi si fanno perché sono fragili e gli adulti sono periferici, non sanno più dare indicazioni né esempi, perché anche loro sono smarriti. Altra cosa di fondamentale importanza è quella di insegnare ai ragazzi a scegliere le parole che usano, utilizzando quelle più appropriate a ciò che vogliono comunicare. Viviamo di slang e anche la parola è diventata usa e getta. I ragazzi però hanno bisogno di ritrovare il potere catartico della parola.
Serve un percorso ampio, sociale, culturale e scolastico, facendo buon uso dei talenti dei ragazzi. Un progetto da mettere in pratica, che non rimanga teoria, ma che possa sedimentare. Basterebbe riprendere un testo classico e lavorarci per un po’ di tempo, per rendere magico il momento costruendo e rielaborando. I ragazzi hanno bisogno di sentire che gli vogliamo bene e hanno bisogno di prove di coraggio, di riti di passaggio, perché non ci sono più le foreste da attraversare. Siamo in un cortocircuito di esperienze, dove non sperimentiamo nulla in realtà, mentre serve invece un’esperienza reale e concreta anche nel gioco. Bisogna avere il coraggio di dare regole e limiti quando sono piccoli. È faticoso dire di no e farli annoiare, così come è un dispiacere vederli superare una sofferenza. Dobbiamo ricominciare a stare con i ragazzi per riflettere con loro sul fatto che un obiettivo va raggiunto, conquistato e assaporato».