ANCONA – Calo del 55% nelle attivazioni di nuovi contratti di lavoro dipendente nel settore privato, calo dell’export del 9%, crollo del Pil stimato al 9%, mentre per 4 aziende su 10 c’è stato un calo di fatturato superiore o uguale al 30%, maggiore rispetto a quello del resto d’Italia.
È la fotografia scattata dall’indagine condotta da Bankitalia sull’impatto della pandemia di coronavirus sull’economia marchigiana. Il rapporto, aggiornato al 12 giugno, e illustrato questa mattina nella sede di Ancona, mette nero su bianco gli effetti deleteri che il covid-19 ha avuto sull’occupazione e sulle imprese della regione. Le Marche con il 43% degli addetti nei settori sospesi dal lockdown, risulta la regione più colpita in Italia sul fronte economico rispetto alla media del Paese.
La paralisi delle attività produttive scattata il 26 marzo ha interessato il 55,3% degli occupati nei settori dell’industria e dei servizi contro il 43,8% della media nazionale, e il 33% del valore aggiunto regionale con 5 punti percentuali in più rispetto che in Italia.
Ad essere più penalizzati sono stati i comparti del calzaturiero, che vede il suo cuore tra Montegranaro, Porto Sant’Elpidio e Montegiorgio, quello degli strumenti musicali a Recanati, e della meccanica di Pergola. Insomma moda, ristorazione, turismo, meccanica (auto e plastica) e servizi i settori più penalizzati, mentre ad andare bene sono stati il comparto alimentare (agrindustria) e chimico-farmaceutico che non si è mai fermato. Poi con le riaperture di inizio maggio, la quota di valore aggiunto sospesa è scesa all’8%, allineandosi così alla media italiana.
«La situazione è molto grave come in tutto il Paese – commenta il direttore di Banca d’Italia Gabriele Magrini Alunno -, poi ci sono delle specificità come il calzaturiero e più in generale il settore moda che sono stati più colpiti per il periodo. Per uscire da questa situazione occorre tenere conto del fatto che le imprese erano strutturalmente più forti e quindi erano più in grado di subire mediamente l’impatto di una crisi così improvvisa e imprevista. Questo provoca un rallentamento generale tanto che abbiamo visto che gli investimenti, già previsti in misura modesta, sono ulteriormente stati abbassati con un rallentamento generale dell’economia».
La ripresa, secondo il direttore dipenderà da quando l’epidemia finirà a livello mondiale, perché «l’industria di traino per la nostra regione è quella dell’esportazione, è la strada con cui siamo usciti dalla crisi precedente e quella che adesso ci consentirebbe di uscirne più rapidamente perché i mercati mondiali, tornati a regime, dovrebbero crescere intorno al 3%, mentre la crescita italiana, prevista in termini ottimistici, è stimata all’1,5%». Un aspetto, quello dell’export che presuppone un incremento verso la digitalizzazione.
Insomma, un quadro nero per le Marche che arriva dopo un 2019 non proprio brillante, quando la regione era nel bel mezzo di una fase di rallentamento dell’economia con Pil stazionario, mentre a livello nazionale di registrava una lieve crescita. In ripresa nel 2019 c’era solo l’edilizia, spinta dalla ricostruzione post sisma, mentre la disoccupazione era salita all’8,6%.
Con l’arrivo della pandemia e il blocco delle attività produttive, le imprese marchigiane si attendono nel primo semestre 2020 una riduzione del fatturato del 25%, superiore a quello della media nazionale intorno al 22%. L’indagine straordinaria condotta da Banca d’Italia di Ancona su un campione di 165 aziende industriali nel periodo fra metà marzo e metà maggio, mette in luce un calo del fatturato di oltre il 25% con punte di oltre il 30% per circa il 40% delle imprese. Anche se c’è un 10% delle imprese che ha registrato un incremento in termini di fatturato, un dato «che testimonia che è in atto una forte varianza delle performance fra le aziende – spiega il direttore di Banca d’Italia di Ancona, Gabriele Magrini Alunno – , ma per misurare l’impatto reale della crisi sull’economia regionale bisognerà attendere la fine dell’anno».
Un risultato fra i peggiori tra le imprese operanti nei settori sospesi dal 26 marzo. Ma se da un lato mobile e meccanica sono ripartiti e diverse aziende per sopperire alle perdite dovute alle chiusure rinunceranno alle ferie, altre aziende proseguiranno con la cassa integrazione fino alla fine. Chi invece rischia di non recuperare il periodo perso sono soprattutto le attività legate ai trasporti e al turismo, ma anche alla ristorazione. Nelle Marche infatti tra marzo e maggio si registravano solitamente il 20% degli arrivi e il 13% delle presenze, una fetta andata perduta per sempre a causa dell’azzeramento del turismo di quel periodo, anche se la stagione balneare potrebbe far ben sperare: tra giugno e settembre si concentrano infatti il 50% degli arrivi e il 75% delle presenze, per cui «come andrà il turismo dipenderà molto da questi 4 mesi» spiega Giacinto Micucci, responsabile Centro Studi di Banca D’Italia.
Una pagina ancora tutta da scrivere, dunque quella del turismo marchigiano, dal momento che in base a una stima di Banca D’Italia nelle Marche la quota di turismo attribuibile agli italiani è superiore all’80% un elemento, quello di scarsa attrattiva verso gli stranieri, che paradossalmente potrebbe agevolare le Marche su questo fronte aiutando il settore a risollevarsi.
Sull’economia marchigiana la pandemia ha fatto crollare soprattutto domanda interna che si è ridotta di circa tre quarti, ma anche quella dell’export che ha registrato un calo del 9,5%. Ma tra le difficoltà lamentate dalle aziende c’è anche il problema della liquidità, della logistica e del reperimento delle materie prime. Un fermo importante ha riguardato anche l’attività di acquisto delle abitazioni, mentre fra le misure più utilizzate c’è la cassa integrazione e in deroga. Ad essersi sviluppata è soprattutto la parte creditizia, dove si è registrato il doppio dei volumi creditizi rispetto allo stesso periodo dello scorso anno.
L’impatto sul mercato del lavoro è stato contenuto dal blocco dei licenziamenti imposto dal Governo e dal ricorso agli ammortizzatori sociali: il calo delle assunzioni e il mancato rinnovo dei contratti in scadenza è stato pari al 55,2% , superiore di 4 punti percentuale rispetto alla media nazionale. «Massiccio il ricorso agli ammortizzatori sociali» e ai prestiti che sono cresciuti nel primo trimestre del 2,6%, mentre le domande di disoccupazione hanno registrato una impennata del 41%. Il Pil nel primo trimestre è sceso del 5%, mentre nel secondo trimestre lo scenario prevedibile è quello di un crollo del 9%, superiore a quello avuto nella recessione degli anni 2008-2013: lo stesso scenario «plausibile anche per la nostra regione – osserva Micucci – anche se potrebbe essere ancora più accentuato».
Fra le note positive la riduzione del grado di indebitamento, ovvero del rapporto tra debiti e patrimonio, che è sceso al 48%, in calo di 10 punti rispetto al 2011, un dato che come ha sottolineato Micucci, evidenzia come le imprese siano state più preparate ad affrontare la crisi dal punto di vista finanziario.