ANCONA – Una visione dello studente non solo nella sua disabilità ma anche nelle sue potenzialità, maggior peso alle famiglie e l’introduzione del PAI (piano annuale per l’inclusione scolastica). Sono queste alcune delle novità contenute nel decreto legislativo 66 del 2017 sull’inclusione scolastica. Una normativa che fa discutere e non convince nell’intervento sulla formazione, nell’abrogazione di alcuni articoli della Legge 104 e nella la separazione delle carriere tra insegnanti curricolari e insegnanti di sostegno.
Una riforma che interessa 156mila studenti con disabilità in Italia e 6500 nelle Marche. Un numero in costante crescita. Secondo l’Istat per l’anno scolastico 2015-2016 sono stati 88mila gli studenti con disabilità nella scuola primaria (pari al 3,1% del totale degli alunni, erano il 2,1% nell’anno scolastico 2001-2002) e circa 68mila nella scuola secondaria di primo grado (il 3,9% del totale, 2,6% nel 2001-2002). Disabilità intellettiva, disturbi dell’apprendimento e dello sviluppo, le problematiche più frequenti.
Dottor Suardi, quali sono gli aspetti positivi della riforma?
«Di positivo c’è che la normativa contenuta nell’articolo 1 valorizza l’inclusione scolastica coinvolgendo tutti gli attori sociali e non solo l’insegnante di sostegno: la famiglia e il consiglio di classe hanno maggior peso e partecipano molto di più rispetto al passato. Nel decreto viene data indicazione rispetto all’introduzione dell’ICF (classificazione internazionale del funzionamento della disabilità e della salute – indice dell’OMS ) e dell’ICD10 (classificazione statistica internazionale delle malattie e dei problemi sanitari correlati): si tratta di introduzioni importanti perché puntano a considerare l’individuo come parte di un sistema più ampio, sulla base dell’approccio bio psicosociale (tutti gli elementi del sistema sono importanti e partecipano al progetto di inclusione). Un altro cambiamento rilevante è l’introduzione del PAI (piano annuale per l’inclusione) che diviene il principale documento programmatico attuativo fondamentale per la definizione del progetto individuale (PEI), per la proposta di assegnazione delle risorse economiche per il sostegno e per l’elaborazione del Pei. Il PAI confluisce a sua volta nel PTOF (piano triennale per l’offerta formativa) che precedentemente era annuale e ora diviene triennale».
Quali sono le ricadute di queste novità sulle famiglie e sugli studenti?
«Dovremmo avere principalmente una semplificazione normativa con l’eliminazione dei sottogruppi esistenti. I punti di forza sono l’inclusione di tutti gli insegnanti nel progetto. Come spiegato le famiglie dovrebbero partecipare molto di più e anche il bambino acquisisce un ruolo fondamentale, perché viene considerato non solo nella sua disabilità ma anche nelle sue abilità, quindi nelle sue potenzialità, in ciò che funziona. Non si considerano più solo i limiti ma anche le capacità grazie all’introduzione del’ICF (limiti e potenzialità)».
Quali sono gli aspetti critici della riforma?
«La formazione degli insegnanti è davvero deludente. Ci aspettavamo un obbligo di formazione per tutti i docenti e invece questo obbligo non c’è stato, ma è stato prescritto solo per gli insegnanti di sostegno. Un altro aspetto negativo è che la formazione viene demandata alla libera scelta delle scuole: gli istituti autonomamente possono decidere quali interventi formativi attuare, in riferimento al piano nazionale di formazione obbligatoria. Qui ci aspettavamo un’azione maggiore, soprattutto le famiglie attendevano un obbligo di formazione anche per gli insegnanti curricolari. In concreto abbiamo una specie di inversione di tendenza, perché mentre in precedenza si era andati verso un equiparazione di ruolo, tra docenti di ruolo e insegnanti di sostegno, ora invece abbiamo una separazione netta delle carriere.
Di fatto si ottiene che l’insegnante di sostegno diviene meno “insegnante di classe” e più insegnante del bambino. Un ruolo più rigido, perché è stata rimarcata questa differenziazione. A livello psicologico l’insegnante di sostegno verrà visto maggiormente come l’insegnante del bambino con PEI piuttosto che della classe: si potrà produrre l’effetto di una maggiore esclusività dell’insegnante, ma in questo modo si va in direzione inversa all’inclusione.
Inoltre, si favorisce la delega del bambino all’insegnante di sostegno. Un altro aspetto poco gradevole della riforma è il finanziamento previsto per le scuole paritarie collegato al numero e alla percentuale di alunni con disabilità. Un aspetto in conflitto con le normative precedenti e che richiama alla mente le scuole speciali eliminate anni fa. Dare un incentivo alle scuole con più disabili può generare una disparità tra scuole che hanno più disabili e scuole che ne hanno meno. Sarà in fase attuativa che si definirà il come, ancora non è chiara la normativa, tuttavia ci si allontana dal concetto di inclusione: non si possono favorire alcune scuole rispetto ad altre, tutte le scuole hanno l’obbligo di includere e per questo non vanno dati premi alle scuole che lo fanno. È un controsenso.
Inoltre, la scuola può reperire le risorse per l’inclusione attraverso altre modalità. L’idea delle scuole speciali crea discriminazione e pregiudizio: il pregiudizio a volte è molto sottile e mascherato da attenzione particolare».
Per la Legge 104 cosa cambia?
«Il decreto abroga alcuni articoli importanti, con ripercussioni forti. Intanto elimina la figura dello psicologo dall’equipe multidisciplinare per l’accertamento della grave disabilità. Sono state inseriti tutti i medici ed è stato introdotto l’operatore sociale e lo specialista in riabilitazione, addirittura sono stati inseriti in equipe rappresentanti dell’ amministrazione scolastica, ma lo psicologo manca. E ci sembra una assenza piuttosto grave. Nel decreto inoltre il neuropsichiatra infantile viene equiparato agli altri medici. Non cambia invece l’iter per richiedere la 104 che rimane lo stesso. Sono cambiati solo i gruppi di inclusione, i gruppi di lavoro. Ricordiamo che la legge 104 si richiede in tutte quelle situazioni in cui si sospetta una grave disabilità, mentre per chi ha disturbi dell’apprendimento c’è la legge 170 del 2010, di riferimento per i DSA, che prevede solo il PDP, ossia il progetto didattico personalizzato. Con la circolare numero 8 del 2013 sui BES (bisogni educativi speciali) è previsto, anche in assenza di certificazione, che si possa redigere un PDP (progetto didattico personalizzato): il consiglio di classe può redigere un progetto didattico personalizzato anche in assenza di certificazione e senza l’assegnazione del sostegno scolastico. Ora il concetto nuovo, a garanzia di un inclusione a 360 gradi, è che viene valutato lo strumento idoneo (PEI o PDP) in funzione dell’impatto che i bisogni educativi speciali hanno nei confronti dell’adattamento scolastico e sociale: vuol dire che il progetto non dipende più solo dalle certificazioni ma c’è un impostazione di tipo funzionale, in assenza di certificazione il consiglio di classe valuta il grado di pervasività del BES e può redigere un PDP. Sono novità importanti, la circolare sui bes apre al fatto che la didattica possa essere sempre personalizzata, anche se non c’è certificazione di disturbo. C’è maggiore flessibilità delle normative e personalizzazione della didattica con e senza sostengo. In questo modo si da agli insegnanti uno strumento utile per lavorare meglio e agli studenti uno strumento per ottenere inclusione».