ANCONA – Va e viene dall’Afghanistan dove collabora con Emergency da sette anni. Tante missioni che durano mesi e dove presta la sua professione. Roberto Maccaroni, 40 anni, infermiere al pronto soccorso di Torrette ad Ancona, volontario ed istruttore alla Croce Gialla, sempre nel capoluogo dorico, racconta la sua esperienza appena rientrato dall’ultima missione all’ospedale di Lashkar-gah, nel sud dell’Afghanistan, nella provincia di Helmand.
Lì è stato testimone di un attentato avvenuto a fine luglio, quando un’auto bomba ha provocato numerosi morti e in ospedale da lui sono arrivati 82 feriti, tutti insieme.
C’è stato tre mesi di fila, fino a settembre. La guerra nel regno dei talebani non è finita e all’Italia arriva sempre poco di quanto invece accade in paesi dove i feriti e i morti civili aumentano a dismisura in odore dell’odio. Nella provincia di Helmand è stato testimone di un attentato avvenuto a fine luglio, quando un’auto bomba ha provocato numerosi morti e in ospedale da lui sono arrivati 82 feriti, tutti insieme.
«La situazione è peggiorata tantissimo – dice Maccaroni – ci sono guerre quotidiane. È stato costruito anche un bunker perché i bombardamenti adesso sono arrivati molto vicino all’ospedale dove presto servizio. I feriti sono aumentati del 100 per cento e cresce la magnitudo delle lesioni».
Il riferimento è alle mine artigianali, sempre più diffuse nel paese, capaci di ferire gravemente ma non uccidere. «Storpiano e accecano chi ne viene colpito – racconta l’infermiere – sono molto simili a quelle di fabbrica, prodotte e vendite anche dall’Italia, proprio vicino Brescia. Dentro ci mettono di tutto, vetri, pezzi di ferro, una volta ho trovato anche un anello finito nel corpo dilaniato di un paziente. Creano lesioni terribili che spesso gli stessi chirurghi hanno difficoltà ad intervenire».
Maccaroni non è stato solo in Afghanistan, una terra che considera ormai la sua seconda casa perché in missione è tornato più volte, ma ha operato anche in Sierra Leone nel 2010, prima che scoppiasse il virus Ebola, in Libia quando era ancora sotto l’assedio di Gheddafi e in Africa. «Quando riparto per l’Italia e lascio quei posti – dice Maccaroni – prove sempre un senso di colpa perché ormai conosco i colleghi che stanno giù e vivono in quei posti con le loro famiglie. E’ come se io fossi i salvo e loro rimangono lì nell’inferno. Uno dei miei incubi peggiori e ritornare e non poterli trovare perché sono morti o li vedo tra i feriti che arrivano in ospedale».
Poi c’è il dramma dei bambini che scampano ai bombardamenti dove perdono le loro famiglie. «Arrivano in ospedale – continua Maccaroni – noi li salviamo ma quando escono non si sa a chi affidarli. Speso chiamiamo i capi villaggio e li consegniamo a loro ma il nostro controllo finisce al cancello dell’ospedale, dopo non sappiamo che fine faranno».
L’infermiere non gira per gli spazi aperti quando si trova in Afghanistan e i suoi luoghi dove apprendere quello che accade sono la casa dove vive e l’ospedale di Emergency dove passa la maggior parte del suo tempo. «Tette le notti si sentono aerei – dice Maccaroni – che sganciano le bombe. L’ospedale dove sto io ospita solo feriti di guerra e il 90 per cento di loro sono civili. La magnitudo delle lesioni è aumentata, seguiamo pazienti che subiscono triple amputazioni per colpa delle mine artigianali e dei bombardamenti. I talebani hanno imparato a fare la guerra, sono più precisi anche nel prendere la mira e colpire le parti mortali».
(Servizio aggiornato alle 18)