MARCHE – Le denunce di infortunio sul lavoro acquisite dall’Inail nel primo bimestre del 2022 sono state 121mila e 994, più 47,6% rispetto allo stesso periodo del 2021, 114 delle quali con esito mortale (più 9,6%). In aumento le patologie di origine professionale denunciate, che sono state ottomila e 80 (più 3,6%). Questo è ciò che emerge dall’ultimo report mensile dello scorso marzo dell’Inail.
«Se il trend fosse confermato anche nei prossimi mesi saremmo davanti ad una situazione di estrema gravità e, forse, questo vuol dire che le politiche di prevenzione fin qui adottate evidenziano inefficacia a contenere il fenomeno degli infortuni e delle tecnopatie nel nostro paese – dice il presidente regionale delle Acli Marche Luigi Biagetti -. Da quanto rileviamo nei nostri sportelli del Patronato Acli, i numeri reali sono più alti a causa delle mancate segnalazioni. L’assenza delle denunce e segnalazioni diventano una mancata tutela dei diritti. Questo lo ribadiamo come Acli: la tutela della salute nell’ambito del lavoro è un diritto che va esercitato senza alcuna remora».
L’analisi
Le cause sono sicuramente molteplici e anche conseguenza della riapertura totale delle attività ma probabilmente con condizioni differenti rispetto al pre pandemia. «Certo, come ci ricorda anche la nota dei Vescovi, viviamo una stagione complessa, segnata dagli effetti della pandemia e dalla guerra in Ucraina, stagione in cui il lavoro continua a preoccupare la società e le famiglie, le conseguenze della crisi economica gravano sulle spalle dei giovani e delle donne in primo luogo, in un contesto in cui alle difficoltà strutturali si aggiunge un peggioramento della qualità del lavoro. Questo ci impegna a tradurre in proposte di solidarietà e di tutela le situazioni di maggiore precarietà.
Come Acli riteniamo che questo percorso virtuoso possa essere innescato da una positiva collaborazione fra gli imprenditori, i sindacati e le autorità pubbliche, con quell’assunzione di responsabilità collettiva che la Cei auspica, e che deve manifestarsi prima possibile. Questo significa mettere mano da subito ad una serie di azioni, a partire dalla necessità della formazione permanente, non solo sui temi della sicurezza, che giova al lavoratore tanto quanto all’impresa stessa. Significa superare la logica della competitività al massimo ribasso dei costi, che, soprattutto nel settore degli appalti pubblici, è diventata anche una filosofia per la Pubblica amministrazione, creando situazioni in cui non solo è a rischio la sicurezza dei lavoratori, ma viene sistematicamente sacrificata la qualità (e magari anche la sicurezza) delle opere pubbliche con danno per tutta la cittadinanza».
La proposta delle Acli
La proposta delle Acli e del Patronato Acli è quella di creare una nuova cultura della prevenzione, che deve accompagnare le aziende anche con incentivi economici in particolar modo verso quelle imprese che investono in sicurezza. L’investimento nel processo di sicurezza significa anche maggiore produttività aziendale, mentre il fenomeno degli infortuni e delle malattie sul lavoro sono un costo diretto e indiretto per tutta la società.
«In definitiva, la vera sicurezza non deriva solo dall’applicazione delle norme e dall’efficienza dei controlli ma da una buona etica dell’impresa, che è frutto di un percorso prima etico che politico o legislativo». La giornata sulla sicurezza sul lavoro e la festa del Primo Maggio sono sempre occasione per lanciare una cultura della cura del lavoro a partire dalla cura della persona. Tra le celebrazioni, proprio ieri (domenica 1 maggio), le Acli hanno organizzato la festa regionale dall’Aspio di Camerano dove, dopo la Santa Messa, è stato consegnato il premio “Bruno Regini – Cultura della solidarietà”, non al singolo gesto ma al costante impegno di un uomo o una donna marchigiani speso fra la gente, nel sociale, nella politica o nell’economia. Quest’anno è andato a don Vinicio Albanesi, responsabile della Comunità di Capodarco che ha dedicato tutta la sua vita all’accoglienza e alla promozione dei disabili e dei non tutelati.