Ancona-Osimo

A tu per tu con Maurizio Vandelli: «L’Equipe 84, trasgressione e storia. Ma con Mogol litigo ancora. Che ricordi a Sirolo»

«Ho quasi 80 anni e molti dei miei colleghi sono infrequentabili, se la tirano troppo. Battisti? Quando mi chiedono di lui, faccio finta di non conoscerlo. Noi precursori di un'immagine diversa in un'epoca tutta da scrivere. Abbiamo anticipato i Mäneskin»

Maurizio Vandelli

ANCONA – «Il successo ti cambia sempre e sull’artista, può avere due effetti. O ti rende più saggio o ti rende più str***o. Non so se le parolacce si possono scrivere. Nel caso, trovi lei un sinonimo». Ironico, pungente, vero, schietto. Maurizio Vandelli chiama con il numero schermato qualche giorno prima dell’esibizione al teatro delle Muse.

Il pubblico anconetano potrà riabbracciare l’Equipe 84 nell’evento di beneficenza organizzato dall’associazione culturale Sulvic, ʻBattiti di musicaʼ, previsto per domenica (22 ottobre), alle 17.30, al teatro delle Muse.

Nei giorni scorsi, un’incursione, in città, l’ha già fatta Attilio Romita, storico volto del Tg1, reduce del Grande Fratello Vip, che condurrà la serata. Vandelli, dalla sua casa in Brianza, sta facendo la scaletta dello spettacolo: «Pronto, è Nicolò? Sono Maurizio…Vandelli. Aspetti che avvicino il posacenere. Ecco, ci sono, iniziamo».

Maestro, è carico per il 22?

«Ma quale maestro? Maestro sarai te. Dammi del tu, dai, che poi sbagliamo i congiuntivi (ride, ndr)».

Maurizio Vandelli (fonte Fb)

Come vuoi, Maurizio. Partiamo dal tuo rapporto con Ancona…

«Sono stato lì tante volte, c’era un periodo in cui andavo tantissimo a Sirolo e Numana. Con la vostra terra, ho un rapporto molto bello, Sirolo l’ho amata da morire».

Prosegui…

«Eravamo agli inizi della storia dell’Equipe e per due anni abbiamo passato dei mesi bellissimi nello storico locale “La conchiglia verde”, a Sirolo. Ogni anno vedevi la stessa gente, si presentavano le stesse persone, era come una grande famiglia».

E gli anconetani Mario Vico e Vittorio Sulpizi? Furono i primi due impresari del rock…

«I nomi mi sono familiari, ma fatico ad associarli a un volto. Sicuramente, avrò lavorato anche con loro».

Che spettacolo sarà quello del 22, alle Muse?

«Un recital di circa 30 minuti in cui riproporremo i nostri successi. Da ʻIo ho in mente teʼ, a ʻTutta mia la cittàʼ, passando per ʻBang Bangʼ e ʻ29 settembreʼ. Non so se ci riusciamo in 30 minuti. Sto tagliando molto, ma faccio difficoltà. Togliere è più difficile di aggiungere».

Com’è nata ʻIo ho in mente teʼ?

«Non è nata, perché è una cover. Una volta su Radio Caroline, le radio pirata che trasmettevano su onde lunghe, sentii questo brano. Lo registrai. Poi, lo riascoltai e lo registrai ancora meglio. E poi, niente, mi piaceva un casino e la sera dopo decisi di inciderlo».

Cosa (o chi) hai in mente te?

Maurizio Vandelli

«Di toccarmi le p***e. Sai, ormai sono alla soglia degli 80 anni (scherza, ndr). E il covid ha influito. Lì, ho pensato solo a salvarmi la pelle. Non abbiamo lavorato per tre anni e le ripercussioni del lockdown si vedono ancora oggi».

Hai scoperto Battisti.

«No, Battisti lo abbiamo scoperto tutti».

Non dire sciocchezze. Sei stato tu ad accompagnarlo da Mariano Rapetti, figlio di Mogol…

«Sì, è vero, il padre di Giulio (Mogol) era un dirigente della ʻRicordiʼ (nota casa discografica di allora, ndr). Ma quando si parla di Battisti tutti si fanno grandi. Come quando in ʻ29 Settembreʼ si sente lo speaker che parla. Fui io a dare l’idea. Ma Mogol la rivendica come sua. Giulio l’ho visto pochi mesi fa a Salerno. Sul palco, gli ho fatto notare questa cosa, ma lui insiste nel dire che è merito suo… Oggi se dici di aver scoperto qualcuno, tutti ti contestano. Quando mi chiedono di Battisti, sa cosa rispondo, a volte? ʻLucio chi?ʼ».

Però Battisti confessò di aver imparato a cantare da te…

«Una volta mi disse: ʻOh Maurì, te devo di’ na cosaʼ. Lunga pausa. ʻHo imparato a cantare da teʼ. Un’altra lunga pausa. E io rispondo: ʻBeh, Lucio, che grande complimento. Grazie, finalmenteʼ. Lui esitò e rispose facendo un po’ lo str******o: ʻPerò ho corretto i tuoi erroriʼ. Era una delle persone più divertenti che abbia conosciuto in vita mia».

Senti, ʻIo vagabondoʼ venne proposta all’Equipe. Poi, finì ai Nomadi.

«Non era la canzone per noi».

Dopo il successo, sei stato soprannominato ʻIl principeʼ dai tuoi amici. Pensavano che fossi tornato a Modena con la puzza sotto il naso. Era vero?

«Non fui soprannominato così dai miei amici, come dici tu, ma da alcuni di loro. Pensavano a una piccola offesa, non a un complimento. Poi, il nomignolo rimase e quando incontrai De Gregori (soprannominato pure lui ʻIl principeʼ, ndr) ce lo litigavamo. Ma io neppure sapevo che lo chiamassero così».

Scherzi a parte: il successo ti ha cambiato?

«Il successo ti cambia sempre, può avere due effetti. O ti rende più saggio e quindi impari qualcosa che non hai mai imparato in vita tua, oppure ti rende più str***o. Trova tu un sinonimo per l’intervista.  Nel senso che molti miei colleghi sono infrequentabili, secondo me. E molti sono diventati più saggi. Io ritengo di essere diventato più saggio, si impara e si mette a frutto ciò che si impara».

Chi sono gli infrequentabili?

«Vuoi nomi e cognomi?».

Ho solo fatto una domanda…

«No, tu sei un pi**a (ride, ndr). Comunque, ce ne sono tanti che si credono Dio in terra e che si danno le arie. Ma più sei bravo e professionale, meno te la tiri».

Tu, capelli lunghi e occhiali blu. Come fai a rimanere sempre uguale?

«Questo non mi sembra un complimento (sorride, ndr). Sai, c’è una storia parallela tra l’Equipe e i Mäneskin. Loro hanno creato una immagine molto curata del gruppo e noi anche, allo stesso modo, anni e anni prima. Ci siamo fatti crescere i capelli e credimi – riflette – farsi crescere i capelli e diventare il così detto capellone in un periodo dove capelloni non esistevano, è stata una roba tremenda».

Cioè?

«Pensa che un giorno un camion che trasportava pietre si è fermato e ci ha tirato addosso le pietre, urlandoci contro la parola ʻomosessualiʼ in ogni forma e lingua possibili. Siamo stati i precursori dell’immagine diversa del musicista, del ragazzo. Siamo stati trasgressivi, portando qualcosa di nuovo, ma talvolta abbiamo rischiato la vita».

E gli occhiali?

«Li portavo per dei difetti alla vista. Poi, ho subìto un intervento correttivo col laser, ma gli occhiali mi piacevano e li ho lasciati. Una volta, sono andato sul palco senza indossarli. Quando mi sono accorto di averli lasciati dietro le quinte, sono andato a prenderli e mi hanno fatto 5 minuti di applausi».

La musica di oggi come la vedi?

«Come la sento, più che altro (ride, ndr). Guarda, se una canzone è bella, è bella. Non sto a guardare se è (o non è) rap, se c’è o meno l’auto-tune. Achille Lauro è fortissimo, scrive bene, ma poi a guardarlo mi girano le scatole, con tutto quel sangue, le pugnalate… Sai cosa detesto?».

Cosa?

«I trapper. Quelli che cantano anzi – si corregge – che parlano incitando alla violenza, all’omicidio, al suicidio. Cose inascoltabili».

I tempi che cambiano?

«No, non cambiano un c***o, anche noi avremmo potuto scrivere testi così ma non lo abbiamo fatto. Con che coraggio scrivi una canzone incitando alla droga? I ragazzi quando diventano fan di un artista non possono ascoltare messaggi di questo tipo».

© riproduzione riservata