Nella nostra cultura gli introversi non hanno vita facile. Il mondo è per il 60% estroverso, e gli estroversi si ritengono sani e ben adattati: se sei estroverso, sei ok. L’ambiente sociale esercita una continua pressione verso il modello estroverso, considerando gli introversi come inadeguati, chiusi, timidi e insicuri. L’introversione è vista come un tratto negativo della personalità, e gli stessi introversi finiscono per fare propria questa visione di sé stessi come individui difettosi, sbagliati, inferiori, sviluppando una forte autocritica. Poiché la nostra società, e in particolare la scuola, sono organizzate secondo il modello estroverso, esaltando al massimo le attività di gruppo e le interazioni sociali, i bambini introversi possono essere emarginati e discriminati, perché non rispondono al modello competitivo e pragmatico che domina in tutti i contesti di vita.
Molte delle difficoltà che gli introversi incontrano nella vita quotidiana, non dipendono tanto dall’introversione in sé, ma dal giudizio negativo che questa riceve costantemente dall’ambiente e che inevitabilmente instilla, giorno dopo giorno, quella chiusura che viene recriminata agli introversi. La società occidentale spinge a nascondere l’introversione e a forzarsi in ruoli non congeniali, perché costruiti su misura degli estroversi.
Inizialmente introdotto da Jung in “tipi psicologici”, il dualismo introversione/estroversione è sempre stato rilevato e confermato in psicologia da tutti gli studiosi e viene ritenuto universale. Gli estroversi sono più proiettati verso il mondo esterno, da cui traggono stimoli e a cui cercano di adattarsi più possibile, sono portati all’azione e alla parola, mentre gli introversi sono più attratti dal proprio mondo interno, hanno una vita interiore molto attiva in cui percepiscono la propria identità, prediligono il pensiero e l’emozione. Per l’introverso, la sua vita è nella sua testa, dove trova un mondo ricco, interessante e vivace. Introverso ed estroverso sono due poli estremi e la maggior parte delle persone si colloca in qualche punto lungo il continuum, manifestando aspetti dell’uno e dell’altro polo, ma di solito uno prepondera sull’altro, quindi abbiamo persone tendenzialmente introverse e altre tendenzialmente estroverse.
Quali sono le caratteristiche di una persona introversa?
Generalmente, una gamma ampia di emozioni e una intensa affettività, un alto livello di empatia, un forte senso della giustizia, ideali di correttezza, vivace intelligenza, attitudine all’ascolto, tendenza a stabilire legami intensi con poche persone selezionate, orientamento alla riflessione e all’introspezione, predilezione per attività tranquille e solitarie, propensione ad attività intellettuali e creative, capacità di restare concentrati a lungo, preferenza per discussioni più approfondite piuttosto che per chiacchiere e gossip, tendenza a esprimersi meglio in forma scritta che a parole. Molti aspetti positivi, dunque, accanto ad altri che possono comportare difficoltà di adattamento: una tendenza eccessiva a interrogarsi e porsi problemi, difficoltà a interagire in contesti sociali allargati con un elevato numero di persone e carichi di stimoli. La tendenza a pensare e agire in modo più riflessivo e, conseguentemente, più lento, può essere una qualità positiva in termini di capacità di analisi e consapevolezza, e negativa in termini di efficienza in una cultura che esalta il risultato rapido.
Introversione significa timidezza?
Spesso viene fatta questa equivalenza, ma in realtà sono due concetti diversi e una persona introversa non è necessariamente anche timida. La timidezza è una caratteristica della personalità, di per sé non patologica, che comporta esitazione, prudenza e ritrosia, timore del giudizio degli altri e difficoltà ad esprimere le proprie opinioni; una persona timida vorrebbe, ad esempio, unirsi a un gruppo, ma si trattiene per vergogna o perché non sa come approcciarsi. La persona introversa non necessariamente prova paura del giudizio e se non si unisce a un gruppo numeroso non è perché vorrebbe farlo ma si vergogna, ma perché non è interessata a un contesto troppo carico di stimoli o è infastidita da eccessive sollecitazioni esterne. Quindi, la timidezza ha più a che fare con la paura del giudizio, mentre l’introversione riguarda il modo in cui rispondiamo alla stimolazione.
Introversione significa essere asociali?
Non è detto: alcuni introversi preferiscono restare nel proprio spazio vitale e nell’ambito della relazioni più strette, altri socializzano maggiormente, altri ancora si trovano più vicini al confine dell’ansia sociale, in quanto si sentono a disagio in mezzo ad altre persone. Di solito gli introversi non disdegnano di stare in compagnia, ma sono capaci di stare molto bene da soli e hanno bisogno di ricaricarsi in solitudine dopo un certo tempo passato con gli altri.
Da cosa dipende l’introversione?
L’origine è almeno per il 50% genetica, si presenta fin dalla nascita e non è modificabile. Si tratta quindi di un temperamento innato. Per Eysenck, gli introversi hanno un alto livello di attivazione interna, e pertanto evitano la stimolazione esterna per non arrivare a un eccesso di stimolazione, mentre il contrario accade agli estroversi. L’ambiente familiare e le esperienze di vita possono poi sommarsi alla componente genetica.
Estroversione ed introversione sono entrambe presenti in natura, anche negli animali, e sono entrambe funzionali alla sopravvivenza: gli introversi sono più prudenti e corrono meno pericoli, gli estroversi sono più spavaldi e si adattano meglio al nuovo. Per entrambi può essere utile un certo grado di flessibilità, assecondando e valorizzando la propria natura ma provando anche, in alcuni momenti, ad adottare comportamenti tipici del polo opposto e più lontani dalla propria zona di comfort.
Dott.ssa Lucia Montesi Psicologa Psicoterapeuta
Piane di Camerata Picena (AN)
Montecosaro Scalo (MC)
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