ANCONA – «Accuse deboli, impugneremo l’ordinanza al Tribunale del Riesame». Parla così Gianluca Reitano, il legale che insieme agli avvocati Gianluca Carradori e Alessandro Angelozzi difende Simone e Giuseppe Santoleri, in carcere da questa mattina con l’accusa di omicidio volontario e distruzione di cadavere (leggi l’articolo). Il legale chiederà l’annullamento dell’ordinanza che ha disposto la custodia cautelare di padre e figlio per l’uccisione della pittrice Renata Rapposelli e quindi la rimessa in libertà o una misura più lieve come gli arresti domiciliari.
Reitano smonta punto per punto le 56 pagine del provvedimento firmato dal gip Carlo Cimini a partire dagli indizi sull’auto relativi alla targa ripresa dalle telecamere di Porto Sant’Elpidio (il 12 ottobre) sulla statale Adriatica e quelle alla stazione di servizio lungo la superstrada che collega Civitanova con Tolentino. «Dimostra poco o nulla – sostiene il legale – non si vede chi è alla guida e va dimostrato che trasportava un cadavere. Il tergilunotto rotto? Analizzeremo il fotogramma depositato dalla Procura. All’interno della Fiat Seicento non sono state trovate dai carabinieri del Ris tracce ematiche di Renata e il suo Dna. Come si fa a dire che è stata trasportata con l’auto?».
Un’altra contraddizione sollevata da Reitano è anche la mancanza degli esiti tossicologici dell’autopsia fatta sul corpo della pittrice. «Il gip dice che è stata sicuramente uccisa ma poi dice anche che mancano i risultati tossicologici. Quindi a nostro avviso ancora non è certo che Renata è morta perché stata uccisa». Contestate anche le motivazioni che hanno portato alla custodia cautelare di Simone e Giuseppe.
«Inquinamento probatorio – continua l’avvocato – e questo perché Simone, e quindi non anche Giuseppe, ha fatto due denunce contro ignoti, per diffamazione, nei confronti di due testimonianze andate in onda in televisione. Se può ritenersi inquinare le prove questo mi sembra esagerato. Nell’ordinanza non è riportato il pericolo di fuga».
Sugli esiti della perizia informatica al pc di Simone, dove sono state rilevate le parole Chienti, Serravalle di Chienti e Valdichienti, l’avvocato dice che non è riconducibile una data. «Simone dal carcere – aggiunge Reitano – ci ha smentito che ha cercato il caso dell’omicidio di Roberta Ragusa. Ha detto che non l’ha fatta lui quella ricerca». Debole, secondo il legale, anche le dichiarazioni della sorella di Simone, che ha riferito ai carabinieri che la madre in passato le ha aveva confidato che il fratello aveva tentato di avvelenarla mettendo un topicida nella minestra. «La madre raccontava le stesse cose a Simone – incalza Reitano – dicendogli il contrario e cioè che la sorella avrebbe tentato di avvelenare la madre». Sulla frase che la testimone ha riferito di aver sentito dire a Simone, il 9 ottobre, mentre era in casa e urlava ad una donna parolacce, secondo la difesa erano durante una telefonata ad una amica e non alla madre presente in casa in quel momento.