ANCONA – «Il Presidente della Regione Marche, Luca Ceriscioli, ha commentato i dati su occupati e disoccupati nel secondo trimestre del 2018 con toni particolarmente trionfalistici. L’ottimismo non fa certo male, ma occorrerebbe fare un’analisi più approfondita della situazione del mercato del lavoro». Per la Cgil, «è indubbio che ci sia stato un aumento del numero delle assunzioni e dell’occupazione complessiva, come abbiamo più volte evidenziato, così come è innegabile il calo della disoccupazione. Tuttavia, è altrettanto evidente il peggioramento della qualità del lavoro, sempre più precario e di breve durata. Ciò trova conferma nell’analisi dei dati del rapporto Inps sulla precarietà che evidenzia come le Marche siano la terza regione nella classifica della precarietà dei contratti attivati, come più volte abbiamo sottolineato».
Il presidente della Regione, nei giorni scorsi, aveva invece espresso grande soddisfazione per i dati Istat sull’occupazione relativi al secondo trimestre del 2018 (aprile, maggio e giugno). L’andamento trimestrale del numero di occupati ha evidenziato un incremento dell’occupazione rispetto al primo trimestre 2018 di circa 21mila unità. Contestualmente al valore assoluto del numero di occupati, nelle Marche – sempre nel periodo analizzato – è stato registrato un incremento di circa 2 punti percentuali. In particolare per gli uomini il tasso di occupazione è salito al 75,2% (in Italia la media è del 68%), per le donne è pari al 55,9% (in Italia la media è del 50,2%). Il tasso di disoccupazione si è invece attestato al 7,7%, scendendo di 4 punti percentuali rispetto allo stesso periodo del 2017.
«Un risultato eccezionale – aveva dichiarato Ceriscioli – e soprattutto un segno tangibile di ripresa per quanto riguarda il sistema produttivo e il lavoro nella regione. Il calo del tasso di disoccupazione nel periodo analizzato (7,7%) assume un valore ancor più efficace se si confrontano i nostri dati con la media nazionale (10,7%) e con quelli delle regioni del sud, con una disoccupazione media pari al 17,1%. Ma il dato ancor più importante è che siamo a ridosso delle regioni del nord che si attestano al 6,8%, e ciò conferma la qualità del nostro modello produttivo agganciato all’area più attiva del Paese. L’essere davanti a regioni come Piemonte, Liguria, Umbria e Lazio, testimonia inoltre come lo sforzo profuso per favorire le politiche occupazionali stia cominciando a dare i primi importanti frutti. Questi dati ci danno ulteriore forza per affrontare la fase della ricostruzione dopo il sisma che ha colpito gran parte della nostra regione. Vogliamo continuare a creare condizioni favorevoli per chi vuole investire e rimanere a vivere nelle nostre aree interne».
Per la Cgil, invece, il presidente della Regione, «avrebbe dovuto approfondire meglio l’argomento e fare un’analisi più approfondita». «Esiste ad esempio il problema dei bassi salari – spiega la Cgil – anche in questo caso i dati Inps sulle retribuzioni dei dipendenti ci dicono che, nelle Marche, la retribuzione media annuale si attesta ai 19.422 euro, ben 2.000 euro sotto la media nazionale. Secondo l’indagine sull’economia delle Marche presentata dalla Banca D’Italia, emerge che le aziende esaminate sono tornate ad avere una redditività ai livelli pre-crisi, ma questa non si è trasformata nè in maggiore occupazione nè in maggiori salari e investimenti. In un quadro in cui la ricchezza prodotta non si trasforma in fattori di crescita e di sviluppo si pregiudica il futuro di questa regione».
«Attenzione – dichiara Daniela Barbaresi, Segretaria generale Cgil Marche – ad esaltare il modello produttivo marchigiano che, invece, proprio su questi aspetti, sconta ritardi e difficoltà. Tutto ciò meriterebbe riflessioni approfondite e proposte coraggiose. È necessario, per la Cgil, affrontare i numerosi problemi cercando innanzitutto di non negarli». «Peraltro – sottolinea Giuseppe Santarelli, segretario regionale Cgil Marche – va ricordato che, nel nuovo settennato di programmazione, l’Unione Europea ha declassato le Marche da regione sviluppata a regione in transizione: anche questo non è certo un elemento trascurabile, che conferma il bisogno di aprire un’analisi profonda sullo stato economico e sociale della nostra regione».